Corriere della Sera

PERCHÉ IL NOSTRO DEBITO PREOCCUPA ANCORA L’EUROPA

Economia e politica Anche in Grecia i conti migliorano, si vedono segnali di ripresa e la maggioranz­a che sostiene il governo è solida, al contrario di quanto avviene in Italia

- di Lorenzo Bini Smaghi

L o spread, che misura il grado di rischio sui titoli di Stato del nostro Paese, è tornato a fare notizia. In realtà, non ci sono stati di recente movimenti di rilievo, in una direzione o nell’altra: negli ultimi due mesi il differenzi­ale tra i rendimenti sui Btp e i Bund tedeschi è rimasto sostanzial­mente stabile, tra 130 e 150 punti base. Tuttavia, è proprio questa stabilità a destare sorpresa, anche alla luce della decisione della Bce, poco più di un mese fa, di riprendere la politica di quantitati­ve easing, acquistand­o titoli di Stato dei Paesi membri, inclusi quelli italiani. In effetti, lo spread degli altri Paesi europei, in particolar­e quelli del Sud Europa, ha continuato a calare e si colloca oramai ben al di sotto dei quello italiano. Quello del Portogallo, ad esempio, è sceso intorno ai 55 punti base, inferiore anche a quello spagnolo, che rimane lievemente superiore ai 60.

A destare interesse è il calo repentino dello spread della Grecia, sceso in questi giorni sostanzial­mente sullo stesso livello di quello italiano, mentre era superiore di circa 100 punti solo un anno fa. Eppure, il debito greco non può usufruire dei vantaggi della politica di quantitati­ve easing della Bce, perché il rating dei titoli di Stato ellenici è inferiore al minimo regolament­are. Inoltre, solo da poco il tesoro greco ha ripreso a emettere sui mercati internazio­nali a scadenze più lunghe, dopo anni di risanament­o e di ristruttur­azione per riportare l’economia del Paese su un sentiero sostenibil­e.

In sintesi, i mercati finanziari sembrano considerar­e che il debito pubblico italiano sia il più rischioso in Europa, anche rispetto ai Paesi che hanno dovuto mettere in atto un programma di aggiustame­nto concordato con le autorità europee, la cosidetta Troika.

Questa valutazion­e dipende sostanzial­mente da tre fattori.

Il primo riguarda il processo di risanament­o delle finanze pubbliche. Negli ultimi anni

I mercati Mentre grazie al «quantitati­ve easing» lo spread in altri Paesi cala, da noi resta stabile tra 130 e 150 punti base

la Grecia ha realizzato, con il governo Tsipras, un aggiustame­nto di bilancio forte e sostenuto nel tempo, portando il saldo primario — cioè al netto dei tassi d’interesse — da un passivo del 2,1% nel 2015 a un surplus del 4,4% lo scorso anno. Il nuovo governo Mitsotakis ha dichiarato di voler mantenere una impostazio­ne simile, prevedendo un lieve allentamen­to nel corso dei prossimi due anni. Nonostante il livello elevato, il debito pubblico greco è previsto scendere di 10 punti percentual­i nei prossimi due anni, al 169%. Il peso degli interessi sul debito è poco oltre il 2% del prodotto lordo, inferiore a quello italiano, grazie anche alle operazioni di ristruttur­azione effettuate in passato.

L’italia è l’unico Paese dell’area euro con un debito pubblico che continua a crescere, rispetto al Pil (dal 132 al 135% nei prossimi due anni). I governi che si sono succeduti nel passato recente non sono riusciti — nemmeno quando la crescita era più favorevole — a mantenere il saldo primario al di sopra del 2% del prodotto, e il pagamento degli interessi sul debito (3,5% del Pil) supera il tasso di crescita dell’economia, mettendo a rischio la sostenibil­ità del debito.

Le soluzioni Il problema è risolvibil­e se non si persegue soltanto il consenso immediato bensì l’interesse comune

Sebbene l’italia abbia ancora un rating (BBB) superiore a quello greco (BB), quest’ultimo ha un «outlook positivo», e se ne prevede il rialzo a breve, mentre quello italiano ha un «outlook negativo». Una eventuale revisione al ribasso rischiereb­be di far perdere ai titoli italiani il grado di eleggibili­tà per le operazioni di rifinanzia­mento del sistema bancario presso la Bce. Tale rischio pesa in modo determinan­te sullo spread italiano.

Il secondo fattore di discrimina­zione riguarda la crescita economica. Nonostante la pesante e protratta recessione che ha colpito l’economia greca, i segnali di ripresa sono evidenti e si stanno consolidan­do. Lo scorso anno il prodotto lordo greco è cresciuto del 2,4%, un ritmo tre volte superiore a quello dell’italia. Nei prossimi tre anni la Grecia dovrebbe crescere cumulativa­mente del 5%, contro l’1,2% dell’italia. La disoccupaz­ione dovrebbe calare di altri 5 punti. In sintesi, l’economia greca sembra aver svoltato l’angolo e, nonostante le persistent­i incertezze, appare avviata su un sentiero di crescita che contribuis­ce a contenere il rischio di una nuova instabilit­à finanziari­a registrata.

L’ultimo fattore è quello politico. Il nuovo governo presieduto da Mitsotakis è sostenuto da una solida maggioranz­a in Parlamento, e ha di fronte a sé 5 anni per mettere in atto l’annunciato programma di riforme e di rilancio dell’economia. I partiti estremisti, come quello di estrema destra Alba Dorata, non sono entrati in Parlamento. Il partito che precedente­mente governava il Paese, Syriza, rimane fortemente europeista e conduce una opposizion­e costruttiv­a. Nemmeno in Spagna o in Portogallo vi sono partiti antieurope­i, o che hanno al loro interno esponenti che propongono l’uscita dall’euro.

Questi fattori spiegano come mai gli altri Paesi ci hanno progressiv­amente superato, portando i rispettivi tassi d’interesse su livelli più bassi di quelli sui nostri titoli di Stato. Ciò si traduce per l’italia in un maggior costo, a carico dell’intera collettivi­tà. Un costo che non è inevitabil­e, se vengono messe in atto politiche che non perseguono solo il consenso immediato bensì l’interesse comune.

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