Isis e dollari, The Donald e Erdogan provano a fare pace
WASHINGTON Isis e dollari. Donald Trump offre a Recep Tayyip Erdogan una ripartenza che tiene insieme la comune guerra contro il terrorismo e un accordo commerciale dal valore di 100 miliardi. Il leader turco è arrivato ieri a Washington esattamente un mese dopo l’inizio dell’offensiva al confine con la Siria. La tensione tra i due governi ha raggiunto forse il massimo storico. Tanto che la visita di Erdogan è rimasta a lungo in sospeso. L’ospite si è mostrato spigoloso, come sempre, anche davanti ai giornalisti. Ha difeso puntigliosamente l’invasione del Nord della Siria, il diritto dei turchi di difendersi dai «terroristi», comprendendo anche le organizzazioni dei curdi che sono, tuttora, alleati degli Stati Uniti. Erdogan si è lamentato anche per la mozione approvata dalla Camera dei Rappresentanti che ha riconosciuto la responsabilità dei turchi nel genocidio degli armeni: «È una pagina di storia che non dovrebbe essere politicizzata. Ho detto al mio amico Trump che questa decisione del Congresso proietta un’ombra sulle relazioni tra i nostri due Paesi. Noi siamo pronti ad aprire gli archivi e a istituire una commissione storica anche con gli armeni». In testa alla liste delle rimostranze americane, invece, c’è l’acquisto dei missili russi S-400 da parte del governo turco. «Ne abbiamo parlato e torneremo a farlo. Dobbiamo risolvere questa situazione», ha detto Trump. I due hanno cercato un terreno comune sulla questione dei foreign fighters. Erdogan ha sollecitato i Paesi europei a riprendersi i propri concittadini affiliati all’isis. Trump lo ha appoggiato: «Anch’io ho chiesto Germania, Francia, Regno Unito di riprendersi i loro prigionieri. Ma “intelligentemente” mi hanno risposto di no. Non ci vogliono aiutare e ciò non è corretto». Il punto politico, però, è come recuperare in pieno l’alleanza con la Turchia. Trump ha fatto attenzione a non collegare direttamente l’accordo commerciale e le garanzie che Pentagono e Dipartimento di Stato chiedono ora al governo di Ankara. E lo stesso Erdogan ha precisato «che noi non mescoliamo le questioni economiche con altri temi». Ma alla fine questa è la strada più concreta emersa dal summit di Washington. Usa e Turchia, intanto, possono riprendere il filo del dialogo, facendo più affari insieme.