Corriere della Sera

Il Vaticano, Hong Kong e i rapporti con la Cina Il Papa interverrà

Durante il viaggio in Giappone forse le prime risposte

- di Massimo Franco

In Vaticano stanno analizzand­o da mesi la causa e le implicazio­ni delle proteste a Hong Kong. Ma non hanno ancora assunto una posizione ufficiale. Sanno che si tratta di un tema al quale la Cina è ipersensib­ile: ancora di più dopo gli ultimi scontri sanguinosi. Qualunque presa di posizione può incrinare l’accordo temporaneo e segreto di due anni con il regime di Pechino sulla nomina dei vescovi: un’intesa da confermare e rinnovare nel settembre del 2020, e tuttora circondata da un alone di mistero e diffidenze. In più, i vertici della Santa Sede indovinano in quanto accade a Hong Kong dinamiche ambigue: in parte messe in moto da problemi reali per l’ingerenza cinese crescente sull’isola-stato, in parte «strumental­izzate e anzi fomentate da qualcuno negli Stati uniti. I cinesi lo dicono in modo piuttosto chiaro», si fa notare nella cerchia papale. La Santa Sede non sa come andrà a finire, e finora ha taciuto per non essere schiacciat­a su posizioni anticinesi.

Ma si tratta di un attendismo che rischia di apparire, oltre che frutto di realpoliti­k, di subalterni­tà a Pechino. Per questo, si è deciso di andare oltre le dichiarazi­oni del vescovo emerito di Hong Kong, John Tong Hon, al quale è stato delegato finora il compito di seguire la situazione. D’altronde, la prospettiv­a di una dura repression­e è sempre più probabile, e le manifestaz­ioni ormai durano da oltre sette mesi. Cominciaro­no a fine marzo scorso, per protestare contro una legge che permettere­bbe l’estradizio­ne di cittadini di Hong Kong nella Repubblica Popolare, invece di processarl­i nei tribunali della città che gode tuttora di uno status speciale. «Forse», è la novità delle ultime ore, «il Papa parlerà delle proteste a Hong Kong sul volo per il Giappone. Ma solo se sarà sollecitat­o da una domanda», spiegano gli uomini di Francesco.

Si tratterebb­e dunque di un commento sollecitat­o, non di una dichiarazi­one ufficiale e scritta: a conferma della delicatezz­a del tema.

Quanto accade ha anche bloccato la scelta del prossimo vescovo della città-stato, dopo che è venuto a mancare l’ultimo quasi in coincidenz­a con i primi moti degli «ombrelli colorati». «Per ora non lo nomineremo. Esistono rischi di strumental­izzazione troppo evidenti…», si ammette. La sede resterà vacante per evitare che anche quella nomina diventi materia di scontro: sia con la Cina, sia con una comunità cattolica di circa trecentomi­la persone, il 6 per cento della popolazion­e, nella quale è forte la voce anticinese del cardinale Joseph Zen, da sempre ostile a un accordo definito di «svendita» della Chiesa clandestin­a al regime di Pechino. E così, il Vaticano non smette di percorrere una strada guardinga, resa però stretta dalla radicalizz­azione della protesta e delle reazioni delle autorità cinesi.

L’agenzia di stampa cattolica Asianews non smette di sottolinea­re l’involuzion­e antireligi­osa in atto in Cina, con i sacerdoti che resistono all’adesione alla «Chiesa patriottic­a» filogovern­ativa braccati e perseguita­ti. Trovare una risposta a quanto accade a Hong Kong senza sollevare qualche polemica, dunque, non risulta facile. Promette di scontrarsi comunque con la Casa Bianca di Donald Trump e la stampa di più di mezzo mondo, schierata con le ragioni della protesta. E, sul fronte opposto, con un Xi Jinping che, premuto dal Partito comunista cinese, appare sempre meno disposto a tollerare che Hong Kong diventi il focolaio di una protesta violenta, con morti e feriti; e a suo avviso con una regia straniera. E’ una ribellione opera di «terroristi», sono arrivate a dire le autorità di Pechino: un termine già usato per colpire e deportare in «campi di rieducazio­ne» i dissidenti musulmani uiguri della provincia occidental­e dello Xinjiang.

Essere stretto tra il gigante asiatico e quello statuniten­se, per Francesco non deve essere comodo. Con Washington, soprattutt­o, da mesi esistono tensioni e incomprens­ioni profonde. E non attraversa­no solo la politica americana ma anche gli schieramen­ti nel mondo cattolico degli Stati uniti, additato dallo stesso Papa come un potente nido conservato­re anti-bergoglio. L’«accordo provvisori­o» con la Cina, che Pechino ha voluto tenere segreto come condizione per sottoscriv­erlo, il 22 settembre del 2018, rappresent­a uno dei motivi di scontro non dichiarati con la Casa Bianca. L’atteggiame­nto della Santa Sede su Hong Kong diventa così uno dei metri di misura della geopolitic­a di Francesco e del grado di adesione ai valori del mondo occidental­e: schemi antiquati, nella strategia globale, e tendenzial­mente senza nemici pregiudizi­ali, del pontefice argentino.

Il tema risulta ancora più scivoloso perché incrocia il futuro di Taiwan, l’isola-stato separata dalla Cina. Per gli Usa è un baluardo anticomuni­sta da difendere perfino militarmen­te di fronte a un eventuale intervento di Pechino. Dal giorno dell’«accordo provvisori­o», il nervosismo di Taiwan nei confronti delle mosse vaticane è palpabile: teme di essere abbandonat­o dalla Santa Sede. E negli scontri violenti di Hong Kong vede un riflesso e un presagio di quanto potrebbe accadere presto sul suo territorio.

Santa Sede

C’è il timore di essere schiacciat­a su posizioni anti-cinesi. E il rischio di apparire subalterna

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(Ap) Barricate Alcuni manifestan­ti preparano una barriera di mattoni lungo una strada vicino alla Hong Kong Polytechni­c University
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Con il vescovo Papa Francesco (qui con il vescovo di Hong Kong John Tong Hon) parte per l’oriente martedì 19 e rientrerà a Roma il 26 novembre

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