Il papà di Stefano «Dopo anni in trincea comincio a credere nella giustizia»
ROMA La voce è tonica, le parole fluide: alle 20.30 Giovanni Cucchi è davanti al televisore di casa, con la moglie Rita a guardare i notiziari e aspettare di vedere Ilaria, ospite di Porta a porta. «Sapete che effetto mi fa tutto questo viavai mediatico?».
No, quale?
«Rinvia l’appuntamento con il silenzio che presto o tardi arriverà, anche se finora, in questi dieci anni, non c’è mai stato il tempo».
È un appuntamento con Stefano?
«Sì. Finora abbiamo dovuto combattere e siamo stati sempre circondati da gente: ci sono stati i media che hanno svolto un ruolo importante, ma quando calerà questo caos allora mi troverò, ci troveremo soli con Stefano».
Quanto le manca?
«Ogni giorno».
Cosa prova in una giornata come questa?
«Un leggero sollievo».
Tutto qui? Vuol descriverci il suo stato d’animo?
«Sono stati anni di trincea. Ora avremo un po’ di pace: conforta».
Condanna per omicidio preterintenzionale e condanna per falso. Pestaggio e depistaggi. Cosa ne pensa?
«Possiamo cominciare a credere nella giustizia».
È scattata la prescrizione per i medici.
«L’esperienza di questi anni mi ha insegnato che la verità processuale è un’altra da quella sotto gli occhi di tutti. Per quella processuale occorrono le prove. Ma quei medici hanno grandi responsabilità. Che dire di un infermiere che non sa manovrare un catetere?».
Il primo processo si concluse con l’assoluzione degli agenti penitenziari. Per la morte di Stefano Cucchi nessun colpevole. Come si sentì allora?
«Me lo ricordo bene quel giorno. Uscii dal tribunale impietrito. Come se qualcosa dentro di me si fosse guastato. Non riuscivo a capacitarmi. Sa quel giorno cosa disse mia figlia?».
No, cosa disse?
«Disse rivolta a Fabio Anselmo: “Abbiamo vinto”. E lui rispose “Ma che dici?”. E lei: “Ma sì abbiamo vinto di fronte all’opinione pubblica”».
Un lungo calvario?
«Sì, ricordo l’invito del presidente del Senato Pietro Grasso. Disse: “Chi sa parli”. Iniziò con una piccola crepa, poi la crepa si allargò. E oggi...».
Luigi Manconi oggi era in aula, commosso anche lui.
«Gli ho detto grazie. È stato l’uomo che ci ha convinto a mostrare le foto di Stefano, noi non volevamo, pensavamo che a Stefano dispiacesse. Il suo corpo, in tutti questi anni, ha raccontato la verità».
Finalmente qualcuno vi ha creduto.
«I magistrati Giovanni Musarò e Giuseppe Pignatone hanno avuto l’audacia e il coraggio di riscattare la giustizia».