Ascesa (e caduta) di Lara L’imbarazzo di Forza Italia e le aggressioni sui social
«Brava, preparata, simpatica, capace di piacere» ma pure «interessata, presenzialista, una che sgomitava» o addirittura «avida, cattiva, litigava con tutti». Nel giorno più nero Lara Comi divide il suo partito, Forza Italia, lasciato a giugno dopo il voto delle Europee, e che oggi preferisce dimenticarla, non dedicandole nemmeno una dichiarazione di vicinanza, o un invito alla cautela nel giudizio, ma piuttosto un silenzio imbarazzato: «Comunque con noi non aveva più a che fare».
Nessuno vuole parlare in pubblico dei rapporti con la giovane e rampante ex europarlamentare che per anni ha rappresentato la faccia carina, pulita e sveglia dei giovani azzurri, con piacere ospitata nelle tivù come sui palchi dai quali parlava Berlusconi lodandone le virtù. Classe 1983, nata a Garbagnate Milanese, approdata giovanissima — a 19 anni — già a ruoli chiave nel partito (era portavoce azzurra a Saronno), la Comi alternava studio e politica: «Sin dal liceo ha fatto parte del mio Dna».
Una laurea triennale in Economia alla Cattolica di Milano, la specializzazione alla Bocconi, l’impegno «totale» che — questo lo riconoscono tutti — metteva nella politica non passavano inosservati. Fu rapidissima quindi la sua ascesa: assistente di Mariastella Gelmini per quattro anni, responsabile del movimento giovanile lombardo nel 2004, Lara Comi fa il grande salto nella politica alle Europee del 2009. Sotto l’ala protettiva di Silvio Berlusconi, con 63 mila preferenze, vola a Bruxelles mentre infuria a Roma la polemica sulle candidate veline e si prepara lo scandalo Ruby.
Ma lei no, non ne fu mai sfiorata. Bella, simpatica, grande lavoratrice, capace di districarsi nei meandri complessi della burocrazia europea e insieme di rappresentare la faccia fresca del partito, con durezza (come quando si gettava all’assalto dei centri sociali) o con un pizzico di malizia (quando rivelava di essersi lasciata col suo fidanzato annunciando che «Adesso sono di nuovo sul mercato») la Comi sapeva come essere protagonista.
Lo fu sicuramente alle elezioni, quelle che nel 2014 videro la sua rielezione in Europa con un boom di preferenze: ben 83 mila, stavolta facendo «tutto da sola», un successo oltre le aspettative (sorpassò anche la collega Licia Ronzulli, con la quale i rapporti erano tesi), che la portò a diventare vicecapogruppo del Ppe e responsabile del partito a Varese, sotto l’ala del potente «ras» locale Nino Caianello. Poi, il primo grosso inciampo: nel 2017 finì nei guai per aver assunto nel 2009 e per un anno come assistente parlamentare sua madre. Si scusò e restituì a rate i 126 mila euro percepiti, e ottenne comunque la ricandidatura nel 2019, e ben 32 mila voti, nonostante fosse finita sotto inchiesta proprio in campagna elettorale.
Berlusconi fiutò l’aria e decise di optare per il collegio del Nord-ovest, impedendone la rielezione, lei contestualmente si sospese dal partito. Ed è stato l’inizio della fine, suggellato ieri con l’arresto. Accolto appunto con l’indifferenza dei colleghi ma dal grido sdegnato dei social. Proprio ieri, ha fatto sapere il suo avvocato, il papà di Laura Comi ha dovuto subire una delicata operazione, e lei nei giorni scorsi su Facebook gli aveva dedicato un post: «Forza papà. Combatteremo insieme». Un invito a nozze per i 600 e più che in calce al saluto la accusano di «buttarla sul patetico», di essere «cinica», esplodono di «godimento», le augurano di «marcire in galera». «Terribili», è il commento finale di Lara Comi, nella giornata più lunga della sua vita, in cui c’è posto solo per il silenzio, o la gogna.