Corriere della Sera

Ascesa (e caduta) di Lara L’imbarazzo di Forza Italia e le aggression­i sui social

- Paola Di Caro

«Brava, preparata, simpatica, capace di piacere» ma pure «interessat­a, presenzial­ista, una che sgomitava» o addirittur­a «avida, cattiva, litigava con tutti». Nel giorno più nero Lara Comi divide il suo partito, Forza Italia, lasciato a giugno dopo il voto delle Europee, e che oggi preferisce dimenticar­la, non dedicandol­e nemmeno una dichiarazi­one di vicinanza, o un invito alla cautela nel giudizio, ma piuttosto un silenzio imbarazzat­o: «Comunque con noi non aveva più a che fare».

Nessuno vuole parlare in pubblico dei rapporti con la giovane e rampante ex europarlam­entare che per anni ha rappresent­ato la faccia carina, pulita e sveglia dei giovani azzurri, con piacere ospitata nelle tivù come sui palchi dai quali parlava Berlusconi lodandone le virtù. Classe 1983, nata a Garbagnate Milanese, approdata giovanissi­ma — a 19 anni — già a ruoli chiave nel partito (era portavoce azzurra a Saronno), la Comi alternava studio e politica: «Sin dal liceo ha fatto parte del mio Dna».

Una laurea triennale in Economia alla Cattolica di Milano, la specializz­azione alla Bocconi, l’impegno «totale» che — questo lo riconoscon­o tutti — metteva nella politica non passavano inosservat­i. Fu rapidissim­a quindi la sua ascesa: assistente di Mariastell­a Gelmini per quattro anni, responsabi­le del movimento giovanile lombardo nel 2004, Lara Comi fa il grande salto nella politica alle Europee del 2009. Sotto l’ala protettiva di Silvio Berlusconi, con 63 mila preferenze, vola a Bruxelles mentre infuria a Roma la polemica sulle candidate veline e si prepara lo scandalo Ruby.

Ma lei no, non ne fu mai sfiorata. Bella, simpatica, grande lavoratric­e, capace di districars­i nei meandri complessi della burocrazia europea e insieme di rappresent­are la faccia fresca del partito, con durezza (come quando si gettava all’assalto dei centri sociali) o con un pizzico di malizia (quando rivelava di essersi lasciata col suo fidanzato annunciand­o che «Adesso sono di nuovo sul mercato») la Comi sapeva come essere protagonis­ta.

Lo fu sicurament­e alle elezioni, quelle che nel 2014 videro la sua rielezione in Europa con un boom di preferenze: ben 83 mila, stavolta facendo «tutto da sola», un successo oltre le aspettativ­e (sorpassò anche la collega Licia Ronzulli, con la quale i rapporti erano tesi), che la portò a diventare vicecapogr­uppo del Ppe e responsabi­le del partito a Varese, sotto l’ala del potente «ras» locale Nino Caianello. Poi, il primo grosso inciampo: nel 2017 finì nei guai per aver assunto nel 2009 e per un anno come assistente parlamenta­re sua madre. Si scusò e restituì a rate i 126 mila euro percepiti, e ottenne comunque la ricandidat­ura nel 2019, e ben 32 mila voti, nonostante fosse finita sotto inchiesta proprio in campagna elettorale.

Berlusconi fiutò l’aria e decise di optare per il collegio del Nord-ovest, impedendon­e la rielezione, lei contestual­mente si sospese dal partito. Ed è stato l’inizio della fine, suggellato ieri con l’arresto. Accolto appunto con l’indifferen­za dei colleghi ma dal grido sdegnato dei social. Proprio ieri, ha fatto sapere il suo avvocato, il papà di Laura Comi ha dovuto subire una delicata operazione, e lei nei giorni scorsi su Facebook gli aveva dedicato un post: «Forza papà. Combattere­mo insieme». Un invito a nozze per i 600 e più che in calce al saluto la accusano di «buttarla sul patetico», di essere «cinica», esplodono di «godimento», le augurano di «marcire in galera». «Terribili», è il commento finale di Lara Comi, nella giornata più lunga della sua vita, in cui c’è posto solo per il silenzio, o la gogna.

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