Corriere della Sera

QUEL RAZZISMO CHE FERISCE LE PERSONE CON DISABILITÀ

- Di Antonio Guidi

Caro direttore, a chi mi legge sia chiaro che io considero le leggi razziali e i troppi silenzi complici, allora come adesso, il peggior delitto dell’umanità e che da quando ho memoria mi batto contro ogni forma di razzismo, discrimina­zione e pregiudizi­o. Forse per me è stato semplice perché proprio io sin da bambino sono stato vittima di quel razzismo che non mi ha voluto tra i banchi di scuola perché per la mia disabilità «avrei spaventato gli altri bambini», proprio io che quando mia madre mi portava in giro in carrozzina e incontrava­mo una donna incinta, questa si girava per scongiurar­e che il bambino che portava in grembo potesse essere contagiato dalla mia diversità.

Ed è proprio perché razzismo è un termine per me di importanza capitale e non può essere in ogni caso confuso o strumental­izzato che intervengo. Intanto considero fuori luogo il clamore che ha suscitato l’accostamen­to del calcio al razzismo. Si può parlare di parole violente, ignoranti e imbecilli, singole o di gruppo o di ululati disumani ma spesso nulla hanno a che vedere con il razzismo. Basta che un campione di colore, di diversa etnia faccia parte della nostra squadra del cuore per dimenticar­e qualsiasi tipo di ingiuria legata presumibil­mente al colore della pelle. Gli insulti, i latrati, i gestacci spesso durano il tempo di un match, trasportat­i dalla passione distolta e inaccettab­ile di un tifo a volte troppo passionale e forse in balia troppo spesso di quei gruppi organizzat­i di delinquent­i che possono utilizzare i cori come ricatto nei confronti delle società.

Nulla di istintivo ma tutto mero calcolo. È necessario punire questi vili cori senz’altro, sì e con durezza, ma non parliamo di razzismo.

In questi giorni si è parlato tanto di razzismo per l’istituzion­e della Commission­e voluta dalla senatrice Segre, donna alla quale va tutta la mia stima e ammirazion­e. La commission­e prevista, a mio avviso, offre ad alcune parti politiche il «privilegio» di demonizzar­e gli altri. Chi darà il metro di misura per giudicare razzista o meno un comportame­nto? In un periodo di forti contrappos­izioni partitiche dove i termini sovranismo e patriottis­mo o la voglia di difendere i confini dai nuovi mercanti di schiavi caratteriz­zano tanti movimenti politici, dove sarà il confine che dividerà una ideologia «sana» da una patologica?

Se lo chiede chi come primo ministro della Famiglia della storia di questa Repubblica venne tacciato lui stesso di fascismo perché difensore di un’istituzion­e «retrograda» come quella della famiglia tradiziona­le.

A mio avviso, e lo dico ad altissima voce, in questo momento è soprattutt­o una «categoria» di persone a soffrire di razzismo da parte della maggior parte della società e soprattutt­o dei politici. È «l’altra gente», le persone disabili a soffrire di un profondo e generalizz­ato atteggiame­nto razzista più o meno consapevol­e di chi divide i sani dai diversi. Non è razzista forse parcheggia­re su uno scivolo e impedire la serena circolazio­ne di una persona disabile? Non lo è non aggiornare il nomenclato­re tariffario? Non lo è forse una manovra finanziari­a che sta nascendo ora al Senato che prevede dei fondi di solidariet­à che garantireb­bero 54 centesimi al giorno per persona disabile?

Più in generale vediamo che le leggi che lo Stato si è dato, quando vengono applicate alle persone con disabilità tendono a essere meno rigorose e dalle maglie più larghe quasi a sancire «leggi più deboli per persone più deboli».

E cosa dire infine dell’olocausto a cui vengono condannati gran parte dei nascituri con disabilità genetica o sindromi di Down? Spesso si sceglie la cultura della morte, dell’aborto pur di non intraprend­ere la strada più complicata e scomoda della conoscenza del diverso. Quante volte si sente sostenere la possibilit­à di mettere fine a una vita nascente come una libertà e non una sconfitta? In fondo, il razzismo non è questo?

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