Corriere della Sera

«Questo è l’anno delle nocciole piene e sane Mai viste così»

Dal romanzo «La ladra di frutta»

- di Peter Handke

Aquel punto Valter era stato interrotto da un applauso che era al tempo stesso un battimani inteso a zittirlo, e da una voce che diceva: «Grazie per questo resoconto, giovanotto». Un vecchio, che non era stato notato dai due, aveva parlato da un tavolo che lui stesso aveva portato fuori dal Café de l’univers, nel giardino del ciarpame; non aveva parlato in modo scortese, bensì come se fosse stato lì da un po’ di tempo, partecipe, e a quel punto però avesse ascoltato abbastanza e poi, con una scodella di vetro piena di nocciole davanti a sé che, quasi per accentuare la sua facondia, rompeva con una pinza di acciaio, aveva continuato: «L’anno scorso è stato dichiarato l’anno della pietà, quello precedente l’anno della violenza sulle donne, quello prima ancora l’anno del cardo argentato, quello prima di quello prima l’anno delle stringhe delle scarpe spezzate, e invece l’anno che viene? Chissà. Io per me dichiaro quello in corso l’anno delle nocciole. L’anno passato: le nocciole erano quasi tutte vuote o divorate dai vermi. Quest’anno invece: noci piene e sane e in una quantità che in tutta la mia vita, presto ottuagenar­ia, non avevo ancora mai visto, nemmeno una volta, neppure nella grande annata di nocciole millenovec­entoquaran­taquattro, con i primi frutti maturi che cadevano, come adesso, in agosto, poco prima dell’ultima battaglia della guerra mondiale combattuta qui da noi nel Vexin. All’epoca io ero ancora un bambino, esile, sottile. Pesante come un sasso, però , anzi no, più pesante, per via delle tasche dei miei pantaloni che mi tiravano giù verso terra, piene fino a scoppiare di nocciole, di noisettes. Che bello essere tirati giù così, che caro peso. E anche solo il rumore delle nocciole mentre camminavo — sinistra, destra —, nelle due tasche, così cordiale, e come aumentava poi con il mio passo, se correvo — ma per una volta non era un correre via, non era più uno scappare via. Ero io, di mia iniziativa, a correre così, per conto mio, per gioco. Che le nocciole siano soprattutt­o qualcosa da mangiare e non solo un cibo di emergenza in guerra non contava quasi nulla, a quel tempo. Ma ora, nell’annata record delle nocciole, almeno dal milleottoc­entoquaran­totto (...) mangiarmi di gusto queste nocciole è per me qualcosa che vale almeno quanto il raccoglier­le da terra, che nel frattempo mi riesce più difficile di allora». (traduzione di Alessandra Iadicicco)

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