Contro il Duce dal primo giorno Poi emarginati
Non ne avessero abusato prima, si sarebbe potuta definire una «vittoria mutilata». Non mutilata di terre, ma della memoria di uomini che la guerra al fascismo la combatterono da «irriducibili» sin dal primo giorno. Gli irriducibili (Longanesi, pagine 240, 19) è il titolo dell’ultimo bellissimo libro di Mirella Serri, saggio scritto con verve letteraria. Segue il filo di una narrazione iniziata alcuni anni fa, con un altro titolo evocativo: I redenti. Mentre questi ultimi sono gli intellettuali cresciuti in adesione al fascismo e poi convertiti, in buona fede e travaglio morale, alla causa partigiana, i primi non hanno mai prestato ascolto a Mussolini. Non hanno scritto per giornali fascisti, non hanno insegnato nelle scuole del regime, non hanno avuto diritto di cittadinanza nel Ventennio. Sopravvissero a torture e galere, andarono esuli in Francia, nel Nord Africa o in Palestina, patirono la fame e si adattarono a lavori di risulta, e tornarono in Italia, non appena possibile, per contribuire ad abbattere il fascismo. Anteposero gli ideali alla famiglia, ai legami sentimentali e alle amicizie. Non persero la fiducia anche quando il destino si accanì contro di loro.
Mirella Serri ripercorre queste esistenze facendo emergere quelle dei fratelli Enzo ed Emilio Sereni, ebrei (il padre era un medico in vista a Roma), e di Giorgio Amendola, figlio di Giovanni, il politico liberale colpito a morte dalle squadracce. Sullo sfondo, l’instancabile lavoro clandestino di Giuseppe Di Vittorio, Maurizio Valenzi, Velio Spano, la meravigliosa figura di Ada Sereni, moglie di Enzo, Nadia Gallico, una delle «madri costituenti», di molti giovani.
Mettendo in evidenza, sulle altre, le figure dei fratelli Sereni e di Amendola, esempi fra tanti, l’autrice compie un atto di giustizia storica. I valori che ispiravano la loro lotta furono mortificati e messi ogni giorno alla prova dall’altro totalitarismo, quello stalinista. Le vite di Emilio e di Giorgio, comunisti, vennero quotidianamente passate al setaccio dal partito e giudicate con il metro paranoico della potenziale deviazione trotskista: operarono con l’angoscia della Lubjanka e delle purghe. Dovettero troncare ogni rapporto con Enzo, pur lottando contro gli stessi nemici, perché si era trasferito in Palestina a rendere fertile un pezzo di terra arida gestito comunitariamente da un kibbutz.
Tutti gli altri antifascisti, se non di stretta osservanza moscovita, erano «socialfascisti», nemici da sgominare. La prova peggiore fu il patto Molotov-ribbentrop del 1939: trasformava Hitler e Stalin in alleati. La persecuzione degli ebrei, da tempo in atto, diventava un dettaglio di nessun conto. Eppure la fede nel partito non traballò e provvide Hitler, con l’invasione dell’urss, a riportare i fascismi nel campo avversario.
Ma non era finita. A guerra conclusa, molti eroi che combattevano dal primo giorno si ritrovarono circondati da un alone di sospetto. Anche solo per aver viaggiato su aerei britannici, gli unici in grado di trasportarli dal Nord Africa in Italia. Vennero tenuti in disparte. Ripagati con incarichi in qualche sperduta federazione provinciale del partito. I «redenti» e le nuove generazioni avevano preso il sopravvento. E raccontarono la storia a modo loro.
L’incontro: Mirella Serri presenta il suo libro a Bookcity domenica 17 novembre (ore 18.30) presso il Museo del Risorgimento (via Borgonuovo 23) con Pier Luigi Vercesi