Corriere della Sera

Orlando e Wilson, l’intesa mancata di Parigi

Sulla rivista «Nuove Sintesi» un testo di Sergio Romano sui negoziati di pace del 1919

- di Paolo Foschini

Èchiaro che per stabilire un’intesa tra persone (anche) i caratteri contano: vale tra coniugi, tra colleghi, e vale tra statisti. Se nella politica umorale di oggi pare un’ovvietà, lo si sarebbe voluto ritenere meno scontato in una sede quale l’avvio dei negoziati al temine della Grande guerra.

Il caso del presidente americano Woodrow Wilson e del capo del governo italiano Vittorio Emanuele Orlando, attori della conferenza di pace con l’inglese David Lloyd George e il francese Georges Clemenceau, dice invece che certe cose hanno sempre funzionato così. Lo ricorda Sergio Romano in un testo tratto dalla raccolta Ils ont fait la paix (edita da Les Arenes a cura di Serge Berstein) e ora pubblicato in Italia grazie alla rivista «Nuove Sintesi» diretta da Michele D’elia.

Orlando — ricorda Romano — era stato il ministro degli Interni che aveva «difeso le libertà costituzio­nali contro il comandante supremo Luigi Cadorna», riuscendo ad «adattare l’ordinament­o dello Stato alle esigenze del conflitto» senza però cedere alle «tendenze autoritari­e dei comandi militari»: per questo dopo la disfatta di Caporetto gli fu affidato il compito di formare un nuovo governo e in seguito, divenuto il «presidente della Vittoria», venne ritenuto colui che «avrebbe meglio rappresent­ato il Paese al tavolo della pace».

«Con Wilson in particolar­e — scrive Romano — sembrava fatto per intendersi. I due uomini di Stato avevano fatto studi giuridici, avevano un passato accademico, avevano trattato questioni di diritto costituzio­nale ed erano stati brillanti riformator­i. Ma il loro carattere e il loro stile erano alquanto diversi: Wilson saccente, insofferen­te e altero, Orlando troppo incline ad atteggiame­nti retorici ed emotivi». Per di più Orlando chiedeva due cose quasi incompatib­ili: da una parte la piena esecuzione del patto di Londra del 1915, sulla base della vecchia diplomazia; e dall’altra Fiume, sulla base del nuovo «principio di autodeterm­inazione». Wilson fece una proposta che Orlando rifiutò. Wilson allora lo scavalcò con un «pubblico appello alla nazione italiana». E il giorno dopo, il 23 aprile 1919, Orlando rientrò a Roma: per tornare a Parigi solo il 7 maggio, «ancora più debole». L’italia «nei negoziati per la pace — nota Romano — non ebbe da allora alcun ruolo». E un mese dopo il governo Orlando cadde.

L’argomento è tra quelli che saranno trattati domani nel convegno Pace di Parigi: cadono le monarchie e nascono le dittature promosso dallo stesso D’elia con «Nuove Sintesi» all’istituto Zaccaria di Milano (ore 15, via della Commenda 5).

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La prima pagina della rivista «Nuove Sintesi» che contiene l’intervento di Sergio Romano sul contrasto fra Wilson e Orlando alla conferenza di pace di Parigi dopo la Prima guerra mondiale

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