I CINQUE STELLE CONTAGIANO IL GOVERNO CON LA LORO CRISI
Più che una riflessione autocritica, è uno psicodramma collettivo. Col cosiddetto «garante», Beppe Grillo, che ritrova smalto solo per insultare i giornalisti. E intorno, una classe dirigente del Movimento Cinque Stelle alla caccia disperata di un capro espiatorio al quale attribuire la responsabilità delle sconfitte. Probabilmente è stato trovato in Luigi Di Maio, ministro degli Esteri e «capo politico» in bilico. D’altronde, le sue responsabilità sono evidenti. Anche se non si può definire «pilotato» il voto della piattaforma Rousseau quando gli dà ragione, e «democratico» quando lo smentisce.
Quelle votazioni sono sempre una caricatura di democrazia diretta. Non la cambia la decisione digitale con la quale il Movimento si presenta da solo in Emilia Romagna e Calabria, contro le indicazioni del vertice. In realtà, le convulsioni grilline sono figlie del rifiuto di qualunque analisi della batosta alle Europee di maggio; e della presunzione di poterle rimuovere facendo pesare la posizione di rendita parlamentare
La rimozione I grillini pagano la rimozione della loro sconfitta alle Europee e l’assenza di una cultura amministrativa, come a Roma
ereditata con le Politiche del 2018. Si tratta di due difetti che Di Maio rappresenta alla perfezione, resistendo ciecamente.
Ma con lui le incarna gran parte della nomenklatura dei Cinque Stelle. Quando si chiede, ormai all’unisono, che il «capo politico» si faccia da parte permettendo una gestione collettiva, l’esito appare scontato: anche se potrebbe portare con sé una scissione. Sarebbe la certificazione di un’esperienza al tramonto da quando il grillismo è andato al governo. Palazzo Chigi si è rivelato un «Campidoglio nazionale», copia dilatata della giunta mediocre della sindaca Virginia Raggi nella capitale.
La differenza è che la crisi di identità e il panico di una nomenklatura in dissoluzione stavolta si scaricano sull’intero Paese. E rischiano di provocare la crisi dell’esecutivo guidato da Giuseppe Conte, dopo quello con la Lega; e di creare serie difficoltà al Pd di Nicola Zingaretti. Matteo Salvini nel rapporto col M5S ha guadagnato visibilità e voti: un vantaggio sprecato con la crisi di agosto e il tentativo di forzare la mano al Parlamento.
Ma ora, grazie al negazionismo e all’autodistruzione grillina, il vantaggio sta tornando, moltiplicato; e senza che il Pd abbia avuto modo né tempo per cannibalizzare il M5S come ha fatto la Lega. Il Carroccio scaricò sul governo Conte le sue ambizioni elettorali. Il M5S sta trasferendo sul suo secondo esecutivo la propria crisi, mettendo a rischio gli stessi rapporti con l’ue, recuperati in extremis per scongiurare un’emarginazione non solo politica ma finanziaria. Quel rischio si sta riproponendo, intatto. E non si vede ancora se sarà possibile arginarlo, con la frantumazione della prima forza della coalizione.