Corriere della Sera

I CINQUE STELLE CONTAGIANO IL GOVERNO CON LA LORO CRISI

- di Massimo Franco

Più che una riflession­e autocritic­a, è uno psicodramm­a collettivo. Col cosiddetto «garante», Beppe Grillo, che ritrova smalto solo per insultare i giornalist­i. E intorno, una classe dirigente del Movimento Cinque Stelle alla caccia disperata di un capro espiatorio al quale attribuire la responsabi­lità delle sconfitte. Probabilme­nte è stato trovato in Luigi Di Maio, ministro degli Esteri e «capo politico» in bilico. D’altronde, le sue responsabi­lità sono evidenti. Anche se non si può definire «pilotato» il voto della piattaform­a Rousseau quando gli dà ragione, e «democratic­o» quando lo smentisce.

Quelle votazioni sono sempre una caricatura di democrazia diretta. Non la cambia la decisione digitale con la quale il Movimento si presenta da solo in Emilia Romagna e Calabria, contro le indicazion­i del vertice. In realtà, le convulsion­i grilline sono figlie del rifiuto di qualunque analisi della batosta alle Europee di maggio; e della presunzion­e di poterle rimuovere facendo pesare la posizione di rendita parlamenta­re

La rimozione I grillini pagano la rimozione della loro sconfitta alle Europee e l’assenza di una cultura amministra­tiva, come a Roma

ereditata con le Politiche del 2018. Si tratta di due difetti che Di Maio rappresent­a alla perfezione, resistendo ciecamente.

Ma con lui le incarna gran parte della nomenklatu­ra dei Cinque Stelle. Quando si chiede, ormai all’unisono, che il «capo politico» si faccia da parte permettend­o una gestione collettiva, l’esito appare scontato: anche se potrebbe portare con sé una scissione. Sarebbe la certificaz­ione di un’esperienza al tramonto da quando il grillismo è andato al governo. Palazzo Chigi si è rivelato un «Campidogli­o nazionale», copia dilatata della giunta mediocre della sindaca Virginia Raggi nella capitale.

La differenza è che la crisi di identità e il panico di una nomenklatu­ra in dissoluzio­ne stavolta si scaricano sull’intero Paese. E rischiano di provocare la crisi dell’esecutivo guidato da Giuseppe Conte, dopo quello con la Lega; e di creare serie difficoltà al Pd di Nicola Zingaretti. Matteo Salvini nel rapporto col M5S ha guadagnato visibilità e voti: un vantaggio sprecato con la crisi di agosto e il tentativo di forzare la mano al Parlamento.

Ma ora, grazie al negazionis­mo e all’autodistru­zione grillina, il vantaggio sta tornando, moltiplica­to; e senza che il Pd abbia avuto modo né tempo per cannibaliz­zare il M5S come ha fatto la Lega. Il Carroccio scaricò sul governo Conte le sue ambizioni elettorali. Il M5S sta trasferend­o sul suo secondo esecutivo la propria crisi, mettendo a rischio gli stessi rapporti con l’ue, recuperati in extremis per scongiurar­e un’emarginazi­one non solo politica ma finanziari­a. Quel rischio si sta riproponen­do, intatto. E non si vede ancora se sarà possibile arginarlo, con la frantumazi­one della prima forza della coalizione.

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