Conte teme per il governo: diamo tempo al Movimento
Per Franceschini, se Di Maio lasciasse la guida «il quadro diventerebbe fragile»
ROMA Le immagini del convivio di giovedì notte, con Giuseppe Conte al centro della tavolata e Luigi Di Maio che spandeva sorrisi, stridono con la crisi di nervi di una maggioranza che appare sempre più vicina al collasso. Il premier certo non pensava che, portando in trattoria una squadra che si rifiuta di essere tale, sparissero come per miracolo distanze programmatiche e tensioni. Ma certo si augurava che un po’ di quel clima «tranquillo e disteso», favorito dal prosecco e dal millefoglie tricolore, verde, bianco e rosso, avrebbe varcato al mattino le porte della trattoria Arancio d’oro per risollevare un po’ il governo.
Così non è stato. Per rilanciare l’azione di un esecutivo che appare paralizzato dalla sfiducia reciproca Conte ha deciso di battere un colpo sull’emergenza rifiuti di Roma, convocando Raggi, Zingaretti, Costa e il prefetto. E, tra una visita lunedì alla Fca di Melfi e il viaggio mercoledì in Ghana, medita di mettersi al lavoro su tre, quattro grandi idee strategiche per l’agenda del 2020. Se ci arriva, al 2020, visto che si litiga sulla manovra, l’alitalia rischia il collasso, sul futuro di Taranto c’è il buio e il fondo Salva-stati continua a dividere i partiti.
Sul piano politico, a preoccupare Palazzo Chigi e Nazareno è la tenuta del Movimento e il sospetto che Di Maio abbia architettato il voto sulla piattaforma Rousseau col segreto intento di terremotare il governo. Ma la lotta intestina che ne è scaturita ora minaccia di mettere fine alla sua leadership. Zingaretti e compagni sono in allarme e il premier, che condivide gli stessi timori, evita di entrare in un campo minato. «Dobbiamo dare un attimo di tempo al Movimento per completare la fase di transizione che attraversa», evita pericolose incursioni l’«avvocato degli italiani». Persino sul Mes si mostra prudente, nonostante gli attacchi e i veti di Di Maio. «Non sono preoccupato — confida Conte ai collaboratori —. Si sta montando una gran confusione mediatica».
Chi è preoccupato e per nulla ottimista è Dario Franceschini. Reduce dalla cena di governo a base di carciofi, bufala e amatriciana, il capo delegazione del Pd si è confrontato con alcuni parlamentari. «È miope pensare di indebolire Di Maio, sperando magari di sostituirlo — ha avvertito il ministro della Cultura, per stoppare la tentazione che contagia tanti, nel Pd e tra i 5 Stelle — . Se fosse costretto a lasciare la guida del Movimento, il quadro diventerebbe definitivamente troppo fragile». Franceschini ne ha parlato con Zingaretti ed entrambi sanno bene come «nessuno vuole far cadere il governo in piena sessione di bilancio», ma quando una maggioranza si sfilaccia e perde spinta, a far crollare tutto «basta un incidente».
Calendario alla mano, la fragile caravella di Conte veleggerà senza affondare fino al 26 gennaio. «L’emilia-romagna sarà il giro di boa», ripete angosciato il timoniere di Palazzo Chigi.
E l’espressione che rimbomba ai piani alti del Nazareno, da cui escono sondaggi di un Pd in risalita, è più forte ancora: «Se Bonaccini perde perché il M5S gli ha opposto una sua lista, sarà una bomba». Conte lo ha chiarissimo e comincia a mettere le mani avanti: «Non è che ogni voto regionale è un referendum sul governo».