Corriere della Sera

La svolta avanguardi­sta di Genea, la visionaria

Lardini e la collezione femminile

- Maria Teresa Veneziani

«La moda è arte, divertimen­to… e la mattina ci fa sentire più belli». Luigi Lardini è a Milano per studiare la campagna-uomo della maison. La linea donna l’ha lasciata alla primogenit­a Genea, 33 anni, che da lui ha ereditato la creatività. Studi all’istituto d’arte a Firenze, cui sono seguiti i corsi alla Marangoni e alla Saint Martins di Londra. «E ora mi sono iscritta all’accademia di Brera: voglio continuare a studiare, perché no.. Sono una visionaria», dice lei. I lavori della Pinacoteca sono l’ispirazion­e per il nuovo mondo lardiniano di Genea («più avanguardi­sta») della primavera-estate 2020, capi spalla e pantaloni a vita morbidi perché la donna sicura di sé non veste mai strizzata. Le gonnepareo al polpaccio hanno stampe dipinte dalla stilista. Il blazer arriva dal guardaroba maschile, il revers ampio, un po’ retrò. «Quando disegno immagino una storia d’amore, la mia donna incontra sempre l’uomo Lardini, li ho visti in viaggio a Cuba: in principio lui è ostile, poi capisce che lei è tutto il suo mondo...». I colori dell’isola caraibica sono quelli della collezione, dal tabacco fino all’ocra e alla terra rossa, mixati con il celeste e verde pappagallo. Genea e la sorella Brenda, trentenne, che si occupa della comunicazi­one, dicono che il maggior talento di Luigi (così chiamano il padre) sta in quel senso per l’abbinament­o dei colori che rende i loro tessuti riconoscib­ili. Marron, bordeaux mixati con l’azzurro donano un tocco esotico anche ai blazer maschili: «Dopo tanta strada, si torna all’eleganza del passato.

Gli Anni ‘50, la giacca non è più sciancrata e si sta allungando. I pantaloni sono più morbidi, io non posso più vederli quelli stretti, anche se so che stanno meglio alle persone non molto alte. Il cambiament­o nell’uomo, però, è una questione di millimetri. La donna può osare a 360 gradi, l’uomo non deve mai superare il limite». La cosa di cui va più fiero? «Il fiore sul rever che è diventato un segno distintivo, a otto petali per la donna e quattro per l’uomo. Un particolar­e copiatissi­mo che ha portato molta fortuna al brand in Giappone, dove Luigi Lardini viene fermato per strada come una star per un selfie. Il designer ricorda gli inizi: era il 1978, siamo quattro fratelli, con due figli ciascuno, e siamo sempre andati d’accordo: Luigi stilista, Andrea amministra­tore delegato con decenni di esperienza in sartoria, Lorena responsabi­le finanziari­a; poi si è aggiunta Annarita, tutti dai 18 ai 21 anni. Abbiamo fatto tanti sacrifici, siamo figli di un operaio, abbiamo cominciato con il mutuo ottenuto grazie alle sue garanzie. Le Marche sono il cuore della Lardini: «Le montagne, le colline brulle, l’odore dell’erba tagliata che senti percorrend­o le strada con la macchina scoperta». Prima produttori per conto terzi, nel 1993 la nascita della linea Lardini. Oggi nell’azienda di Filottrano (Ancona), lavorano 470 persone, di cui 173 under 30: 94 milioni di fatturato per 34 collezioni prodotte (anche per altre griffe). Cosa è cambiato? «Bisogna veloci per adeguarsi ai cambiament­i, con i social tutto diventa subito vecchio. Ci mandano un figurino e capita che consegniam­o l’abito finito il giorno dopo a Londra o Parigi, portato da mio fratello Andrea». E come è la nuova generazion­e Lardini? «Sono ragazzi bravi, ma non sanno cosa è la fame».

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Una storia d’amore a Cuba è l’ispirazion­e della collezione primavera 2020: linee più morbide nelle tinte dal tabacco alla terra rossa fino al celeste e verde

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