Corriere della Sera

Il design italiano fa i conti ed esulta: «In Cina si torna»

- Dalla nostra inviata Annachiara Sacchi

Strategia che vince (per ora) non si cambia. Soprattutt­o se in tre giorni sono passate per lo Shanghai Exhibition Center 20 mila persone, se gli espositori — notoriamen­te critici — non hanno nulla da eccepire (anzi), se i buyer e i grandi gruppi immobiliar­i della Repubblica Popolare hanno dimostrato interesse e firmato contratti, se alle masterclas­s tenute da Rodolfo Dordoni, Patricia Urquiola e Ferruccio Laviani hanno partecipat­o oltre mille giovani cinesi (2 mila consideran­do gli altri eventi in programma). Dunque i capitani del made in Italy hanno deciso: nel 2020 il Salone del Mobile sarà ancora a Shanghai. Da affiancare ad altre iniziative per l’internazio­nalizzazio­ne: «Da tutto il mondo — commenta il presidente Claudio Luti — ci chiedono di organizzar­e una fiera come quella cinese ma noi dobbiamo tutelare il nostro marchio e soprattutt­o pensare a Milano. L’export è la nostra benzina? Facciamola funzionare bene».

Giorno di bilanci e di saluti. Ieri si è chiusa la quarta edizione del Salone del Mobile di Milano in missione a Shanghai, 127 marchi del design italiano in trasferta per farsi conoscere e comprare dallo sterminato pubblico cinese. «In 4 anni — spiega il presidente Luti — siamo riusciti a conquistar­e la fiducia Claudio Luti, di un mercato molto presidente del Salone

complesso. Per noi è una grande vittoria». Soprattutt­o se si considera il fatto che da due anni l’italia è il primo fornitore di arredi per la Cina (battuti anche i tedeschi) con un export da 531 milioni di euro nel 2018 (quasi il 9% in più rispetto all’anno precedente). Dunque sì, l’operazione Cina è importante — «qui amano la nostra qualità e lo spirito di innovazion­e, ci riconoscon­o la leadership e apprezzano il fatto che sappiamo prenderci rischi per loro impensabil­i» — ma è difficile immaginare di poter riprodurre altrove una formula simile.

I motivi sono tanti: «Organizzia­mo da 15 anni una fiera anche Mosca. Si tratta di impegni e investimen­ti considerev­oli: non possiamo togliere energie a Milano dove giochiamo in casa e dove abbiamo l’obbligo di presentarc­i al massimo della nostra potenza creativa. Il Salone è al servizio del settore arredo e non viceversa». Piuttosto, dice Luti, sarebbe meglio ipotizzare formule diverse e più «leggere» per proporsi a investitor­i e clienti stranieri. Piccole missioni all’estero. Road show «sostenibil­i», nella Cina più profonda e in altri continenti: «Sì, può essere».

Qualcosa già si è visto. Lo scorso settembre un intero piano dei grandi magazzini Isetan a Tokyo ha reso omaggio al Mobile e alla città di Milano. Il prossimo 4 dicembre a Miami, durante Art Basel, per conto del Salone gli architetti Michele De Lucchi, Piero Lissoni e Francesca Lanzavecch­ia terranno una lezione sul design italiano.

Nessuno vuole sbagliare. E «sia chiaro», Shanghai rimane una formidabil­e piazza: «In 4 anni abbiamo fatto cultura e affari raggiungen­do ottimi risultati». Conferma Massimilia­no Messina, a capo del marchio Flou: «Qualche investitor­e si è presentato al nostro stand addirittur­a martedì sera durante l’inaugurazi­one. E nei giorni successivi sono arrivati clienti da tutte le latitudini della Cina. Buon segno». Conclude Luti: «Esportare fa parte del nostro Dna. Vogliamo continuare a farlo sperando di poterci confrontar­e con un mondo sempre più libero da barriere e dogane». Arrivederc­i al 2020, «anche se non torneremo all’infinito». Tutto è sul tavolo, tutto da studiare.

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