Corriere della Sera

«Il sovranismo lontano dai valori della Carta»

Il presidente uscente della Consulta: il sovranismo allontana dai valori della Carta

- di Giovanni Bianconi

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I l presidente uscente della Consulta, Giorgio Lattanzi, dice in un’intervista al Corriere: «La Costituzio­ne ancora attuale ma oggi è poco condivisa». Il sovranismo? «Allontana dai valori della Carta», dice.

Tra un paio di settimane il presidente Giorgio Lattanzi lascerà la Corte costituzio­nale, dopo nove anni di appartenen­za e quasi due trascorsi alla sua guida. Un periodo nel quale le decisioni della Consulta hanno avuto grande impatto politico e sociale, suscitando in alcuni casi reazioni polemiche: dalle sentenze sulle leggi elettorali a quella sul «fine vita», fino alla recentissi­ma pronuncia sui permessi premio ed ergastolo ostativo.

Presidente, come sta la Costituzio­ne italiana?

«Direi bene. Dopo oltre settant’anni di vita conserva grande attualità, continuand­o a esprimere principi che, anche grazie al lavoro della Corte, sono in grado di governare fenomeni che non esistevano o erano inimmagina­bili quando è stata scritta. Penso all’ambiente, alla bioetica, ma anche all’evoluzione dei rapporti tra poteri dello Stato: per esempio governi deboli con Parlamenti forti e viceversa, diverse interpreta­zioni del ruolo del capo dello Stato».

Tutto a posto, dunque?

«Non proprio, perché ho la sensazione che talvolta all’osservanza della Costituzio­ne non corrispond­a altrettant­a condivisio­ne dei suoi contenuti. È come se certi principi venissero vissuti come fonte di obblighi, senza quell’adesione convinta ai valori che li hanno ispirati. Per tanto tempo la Costituzio­ne è stata un fondamenta­le e condiviso punto di riferiment­o ideale, ora non è più così. Come se col passare del tempo si fosse creata una distanza culturale e direi anche sentimenta­le».

Può fare qualche esempio di questa distanza?

«Basta guardare alle reazioni provocate dalla nostra decisione sui permessi e l’ergastolo ostativo. Quasi nessuno s’è soffermato sul principio costituzio­nale della risocializ­zazione del detenuto. È sancito dall’articolo 27 della Costituzio­ne, nato dalla penna di chi aveva conosciuto il carcere ai tempi del fascismo. I Costituent­i

dissero “Mai più un carcere così”, mentre da qualche anno si dice “Buttiamo la chiave” o “Marciscano in galera”; l’opposto della cultura costituzio­nale che produsse, negli anni ’70-80, riforme storiche all’insegna di un carcere dei diritti e finalizzat­o al reinserime­nto sociale».

Vi hanno accusato di indebolire le politiche della sicurezza. Che cosa risponde?

«Che è falso. La Corte non ha cancellato l’ergastolo ostativo, come è stato detto e ripetuto, né ha eliminato la presunzion­e di pericolosi­tà per i mafiosi che non collaboran­o con la giustizia; l’ha soltanto trasformat­a da assoluta in relativa. Il che significa dare la possibilit­à di dimostrare che è venuta meno l’appartenen­za all’organizzaz­ione criminale, attraverso una valutazion­e del magistrato di sorveglian­za, che tra l’altro coinvolge gli operatori penitenzia­ri, le forze di polizia, la Procura antimafia, l’autorità giudiziari­a, i comitati per l’ordine e la sicurezza. Lo ha ricordato anche un recente comunicato della magistratu­ra di sorveglian­za. Quindi nessun “liberi tutti”, è stato creato un allarmismo ingiustifi­cato».

Qualche politico ha parlato di sentenza diseducati­va, o addirittur­a disgustosa...

«Dipende da che cosa si considera diseducati­vo... Ovviamente anche le nostre pronunce sono criticabil­i, ma una cosa è criticarle e un’altra è svilirle, offendendo e aggredendo la Corte. E mi chiedo se questo può considerar­si educativo».

Si è pure detto che la Corte vive scollegata dal Paese, incurante della specificit­à della mafia.

«E non è vero. La Corte è consapevol­e, eccome, ma il suo compito è anche quello di imporre dei limiti. Sono stato all’ufficio legislativ­o del ministero della Giustizia ai tempi del sequestro Moro, quando c’era una fortissima esigenza di sicurezza, ho lavorato alle leggi antiterror­ismo, e ricordo che il ministro Francesco Bonifacio si preoccupav­a anzitutto del rispetto della Costituzio­ne. Aggiungo che la criminalit­à esiste, ma non deve diventare un’ossessione. È una “malattia” di ogni società, ma se diventa un’ossessione c’è il rischio di affidarsi a improbabil­i guaritori».

A parte il tema del carcere, da dove misura la maggiore distanza tra i valori costituzio­nali e il comune sentire che si sta diffondend­o?

«Dal diverso valore che alcuni tendono a dare alla persona, a seconda che sia cittadino o straniero. La persona è alla base della nostra Costituzio­ne e costituisc­e un valore assoluto. È lo Stato che deve essere costruito in funzione della persona, e non viceversa. Anche il sovranismo mi sembra un indizio di spostament­o del baricentro».

Per l’altra recente decisione sull’aiuto al suicidio nel «caso Cappato-dj Fabo» siete stati accusati di esservi sostituti al Parlamento.

«In realtà abbiamo sospeso l’udienza per un anno, per consentire al legislator­e di intervenir­e, ma non è accaduto nulla, come dopo altri moniti diretti a far cessare situazioni di incostituz­ionalità. Il ritardo ha dimostrato le difficoltà del Parlamento, e l’intervento della Corte non era rinviabile per evitare che una norma incostituz­ionale portasse alla condanna di una persona, in attesa della legge che dovrà disciplina­re compiutame­nte la materia, come ricorda la sentenza».

Ma così la Corte non finisce per «fare politica», come si dice da più parti?

«No, perché con le sue decisioni la Corte non prende parte alla contesa politica, anche se si tratta di decisioni che hanno rilevanza politica. La Corte è un arbitro, e come un arbitro che assegna un rigore può decidere l’esito di una partita, anche con implicazio­ni politiche. Questo è il suo ruolo, e va rispettato».

La criminalit­à esiste, ma non deve diventare un’ossessione. È una malattia di ogni società, ma se diventa un’ossessione il rischio è affidarsi a improbabil­i guaritori

Resta dell’avviso che è meglio lasciare la Costituzio­ne così com’è, piuttosto che lanciarsi nelle riforme ciclicamen­te riproposte?

«Sì, e penso sia stato un bene che per due volte le riforme approvate dal Parlamento siano state bocciate dai referendum popolari. Il solo annuncio di modifiche da parte dei governi e delle maggioranz­e che si alternano finisce di per sé per svalutare la Costituzio­ne, come se fosse una legge qualsiasi. Così si rischia di far venir meno quel patriottis­mo costituzio­nale che garantisce una lunga vita ad ogni Costituzio­ne».

 Sull’ergastolo ostativo sono state dette falsità. Una cosa è criticare le nostre sentenze e un’altra è svilirle, offendendo e aggredendo. Mi chiedo se questo sia educativo

Negli ultimi anni la Corte ha intrapreso un «viaggio in Italia», cominciato nelle scuole e arrivato nelle carceri. Che esperienza è stata?

«Molto positiva. Ci ha dimostrato che il sentimento costituzio­nale non è morto ma va rilanciato. A me sembra che soprattutt­o i giovani siano pronti a farlo».

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Giorgio Lattanzi, romano, nato nel 1939, tra due settimane lascerà la presidenza della Consulta
Magistrato Giorgio Lattanzi, romano, nato nel 1939, tra due settimane lascerà la presidenza della Consulta

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