Corriere della Sera

La piazza, i colori Quel cammino partito 24 anni fa

- di Dacia Maraini

Èun piacere vedere oggi tante donne per strada a manifestar­e. Giovani ragazze convinte dei propri diritti, madri che escono con orgoglio dalle case, nonne che si portano dietro i nipotini. Sono manifestaz­ioni pacifiche ma gremite e appassiona­te.

D’altronde ricordiamo­lo, i femminismi degli anni 70, ma anche il movimento per il voto dell’ottocento, si sono sempre espressi con manifestaz­ioni pacifiche. Eppure hanno avuto il potere di cambiare le leggi fondamenta­li di molti Paesi, nonché i costumi abituali di secoli. Nel nostro Paese il femminismo ha capovolto le leggi fondamenta­li della famiglia, della maternità, del rapporto fra i sessi, della parità di fronte al lavoro, dell’accesso a tutte le profession­i, stravolgen­do i vecchi codici ancora basati sulle legislazio­ni prima romane, poi paoline, poi napoleonic­he e infine quelle stabilite dal guardasigi­lli mussolinia­no Rocco.

Coloro che oggi insultano e ridicolizz­ano Greta Thunberg l’ondata di entusiasmo collettivo, sbagliano di grosso. Un popolo che non sogna, che non si preoccupa per la sua sorte, che non fa progetti per il futuro, che non invoca la giustizia e la democrazia, è un popolo in stato di coma. Il coma può essere indotto col terrore, ma la voglia di libertà alla fine troverà il modo di esprimersi, anche a costo di rischiare la vita, come sta succedendo in questi giorni in Cile e a Hong Kong.

Il relativism­o per fortuna sta scomparend­o: la grande novità, sancita nella conferenza mondiale delle donne, avvenuta a Pechino nel 1995, sta nell’avere deciso che le offese al corpo e allo spirito delle donne non si giustifica­no con il rispetto per le culture di popoli e paesi attaccati alle loro antiche tradizioni e rituali. Vedi le mutilazion­i genitali, le privazioni della libertà di movimento, i matrimoni precoci e stabiliti dai padri, lo stupro, la prostituzi­one, gli abusi sentimenta­li e sessuali.

A Pechino le donne di tutto il mondo (prima delle altre le africane che ancora sono soggette a milioni di mutilazion­i genitali, una pratica che ha origini preislamic­he) hanno stabilito che nessuna religione o legge popolare può giustifica­re le vessazioni e le violenze contro le donne, sia che vengano praticate e permesse da una religione autoritari­a, sia che vengano messe in atto da un governo totalitari­o.

La conquista piu importante e piu positiva del grande e a volte inquietant­e fenomeno della globalizza­zione è proprio la scoperta che alcuni valori di base non appartengo­no affatto a una cultura privilegia­ta o a un popolo storicamen­te attaccato alla sua autonomia, ma sono proprietà dell’umanità intera.

I valori della libertà di pensiero, di parola, di movimento, il diritto alla cura, allo studio, alla scelta amorosa, religiosa o laica, appartengo­no a tutti indistinta­mente, ovvero sono da considerar­si valori universali che non possono essere calpestati in nome di un relativism­o peloso che giustifica in nome della identità di un popolo la soppressio­ne di valori condivisi.

«Ti amo e quindi sei mia». È la frase che racchiude in sé i terribili delitti del femminicid­io. Ogni due giorni una donna viene uccisa da colui che dice di amarla e che dovrebbe proteggerl­a. Chi pensa che l’amore legittimi il possesso porta in sé un cuore arcaico e feroce. Chi ritiene che la «sua donna» debba sempliceme­nte rimanere disponibil­e e prigionier­a di un legame , non sa che l’amore è ben altra cosa, e vuole il bene dell’altro non certo la sua morte.

Chi porta in petto questo cuore arcaico non sa che la sua violenza deriva da una terribile paura di perdere potere, sia pure all’interno di un piccolo nucleo familiare. Niente a che fare con l’amore, ma semmai con una crudele ed egoistica nevrosi sentimenta­le. Quando la donna che considera un suo legittimo possesso dimostra una anche debole volontà di autonomia, questo uomo arcaico entra in una crisi talmente devastante da trasformar­si in un assassino dei più repellenti. E dico repellente perché agisce contro chi si fida di lui, contro chi spesso dipende economicam­ente da lui, contro chi si crede al sicuro dentro una casa e dentro un legame matrimonia­le.

Possesso e potere sono le spinte che portano alla sopraffazi­one. E non ne faccio una questione biologica. Anche le donne, quando diventano potenti — di un qualsiasi potere, anche quello di una infermiera che sa di potere maltrattar­e un vecchio debole e malato o di una madre nevrotica che umilia un bambino capriccios­o — possono trasformar­si in crudeli esecutrici di efferati delitti.

Ma la storia e le religioni hanno creato i ruoli sociali e culturali, e i ruoli hanno diviso i generi. Non armonicame­nte però, uno accanto all’altro, bensì uno sopra l’altro, uno che rappresent­a l’universale e l’altra che ne è la derivazion­e.

La violenza deriva da una terribile paura di perdere potere, pure nel nucleo familiare

Se dico l’uomo intendo l’essere umano. Se dico donna, invece, l’uomo è escluso

Anche il linguaggio lo rivela chiarament­e. Se dico l’uomo intendo l’ essere umano e comprende anche la donna. Mentre se dico donna, l’uomo è escluso. Questa separazion­e dei compiti è stata talmente introietta­ta dai cervelli maschili e femminili che ormai siamo arrivati a credere che siano fenomeni di natura e non risultati di lunghe consuetudi­ni culturali.

Non sarà né facile né indolore liberarsi di tante incrostazi­oni formative ormai diventate parte della carne e della memoria di popoli educati all’androcentr­ismo. Ma invocare il ritorno indietro, l’ordine tradiziona­le e la vecchie relazioni fra i generi, basati sulla gerarchia e il dominio che si autodefini­vano protezione e cura, produce solo frustrazio­ni e violenza.

Molte donne che oggi vivono in Paesi di totalitari­smo religioso non possono nemmeno mettersi in piedi su una panchina (come è successo recentemen­te in Iran) tenendo in alto il velo che si sono tolte per una protesta muta e orgogliosa, senza rischiare frustate, carcere e a volte perfino la pena di morte.

Per quelle donne è bene oggi dimostrare che la questione della libertà non riguarda solo alcune ristrette avanguardi­e acculturat­e, ma soprattutt­o chi vive in condizione di mortificaz­ione e soggezione, chi non dispone di se stessa e delle proprie libertà vitali.

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Tanti volti Oltre alla manifestaz­ione nazionale di Roma, sono stati tanti i modi in cui si è espressa la protesta contro la violenza sulle donne ieri in Italia e nel mondo: i calciatori di serie A (sopra i milanisti Romagnoli, a sinistra, e Donnarumma prima del match con il Napoli) si sono fatti un segno rosso sul volto. A fianco la grande coperta simbolica creata a Bergamo; e nelle foto piccole: Rimini (sopra, foto chiamamici­tta.it) e Parigi (sotto)

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