A 18 anni è già considerato il fenomeno del futuro. Le passioni e i segreti: «Ora so quanto valgo»
Forza Jannik Sinner, classe 2001, altoatesino, dopo un colpo vincente agli ultimi Us Open. Fino a 13 anni preferiva lo sci
O n. Off. On. Off. No, l’impianto elettrico di casa Sinner a Sesto Pusteria nell’autunno del 2008 non presentava nessun problema di voltaggio. «Era Jannik che, a 7 anni, aveva una voglia incredibile di giocare a tennis e una fretta indiavolata di imparare — racconta da Brunico il maestro Heribert Mayr, posando la prima pietra angolare di un’agiografia destinata da oggi in poi a moltiplicare con ritmo feroce aneddoti e leggende —. Non stava mai fermo, né accettava di sbagliare benché fosse agli inizi. Finita la lezione, riprendeva subito in mano la racchetta: palleggiava contro la parete della camera, cercando di centrare l’interruttore».
Da bambino Bjorn Borg ripeteva ossessivamente contro il muro il gesto asimmetrico con cui nell’hockey su ghiaccio mandava il disco in rete. Andre Agassi odiava la macchina sparapalle con cui il padre Mike lo obbligava ad allenarsi. Roger Federer si decolorava i capelli e spaccava le racchette. Jannik Sinner accendeva e spegneva la luce. E dire che, all’inizio di quest’avventura, sciava: «Slalom e gigante, di cui ero campione italiano junior. Mi piaceva Bode Miller. Quando ho scelto il tennis tutti mi dicevano: come giochi bene! Io sono stato l’ultimo a crederci: solo adesso sono consapevole del mio talento e delle mie capacità».
Un’ora con Jannik vola. Allungati tutti i suoi 188 centimetri in obliquo sulla sedia, con i piedoni numero 44 in equilibrio sui talloni, la zazzera rossa da cui spuntano due occhi chiari e intelligenti (gli piace portare i capelli lunghi: li taglia solo quando fanno le «alette» sotto il cappellino) e la risata pronta irrorata da un’ironia assai personale ma sufficientemente empatica, Jannik Sinner da San Candido, Alto Adige (il ragazzo è sveglio e disinnesca subito qualsiasi scintilla di polemica sulla definizione di altoatesino o sudtirolese: «Chiamami come ti pare, per me è uguale. Sono nato a un passo dall’austria, sono italiano e mi alleno in Italia con coach italiani»), non ama le interviste. Però, con la maturità nel tennis e nella vita che lo contraddistingue, da 18enne n.78 della classifica mondiale (è il top-100 più giovane) e enfant di un pays che aspetta il nuovo Panatta da quasi nove lustri, sa che non può esimersi. E stasera — in jeans, maglione e scarpe Nike (quelle belle, lucide di vernice, le ha dimenticate in montagna) — farà il suo debutto sulla tv nazionale a «Che tempo che fa», diretta su Raidue, perché è giusto che alla fine di una clamorosa stagione di prime volte (la prima vittoria in un torneo challenger, a Bergamo lo scorso febbraio, oggi sono già tre; il primo Slam a New York, il primo successo Atp a Milano sbranando Next Gen) tutti, e non solo gli addetti ai lavori, possano conoscere il Barone Rosso destinato a grandi voli anche se il suo ottimo coach, Riccardo Piatti da Como, lacustre globetrotter, avrebbe preferito che rimanesse all’accademia di Bordighera ad allenarsi, senza perdere tempo, con un valido motivo: «Okay ha fatto una buona annata però non ha ancora vinto niente, questo ragazzo».
Vero. Ma un italiano che emani il rovescio come se inspirasse e il servizio come se espirasse, senza alcun sforzo evidente cioé, uno dotato di un talento lampante tanto da far sobbalzare Novak Djokovic sulla sedia («Next Gen non mente: la prossima stella del tennis mondiale è Jannik Sinner») e capace di un’arrampicata verticale a mani nude di 473 posizioni (il (foto) 1° gennaio era 551°), uno con un potenziale così devastante, insomma, su questi schermi non si era mai visto. E allora si apprende che gli piacciono il Manchester City e De Bruyne alla Playstation («Perché sa fare i gol da fuori area!»), che adora il Wiener Schnitzel di nonna Maria e le passeggiate sui sentieri della sua Sesto con nonno Josef, che alle 7 di mattina si metteva in auto per portare il nipote giù al Pustertaler Tennis Service di Brunico, dove il maestro Heribert Mayr fu il primo a notare la facilità dei colpi e degli spostamenti e il maestro Andrea Spizzica a rivolgerglisi in italiano (in casa Sinner si parla il tedesco della valle).
Attaccatissimo alle sue montagne («Lassù c’è un’aria diversa, a Sesto mi ricarico ma dopo un po’ non so più cosa fare...»), Jannik vive a Bordighera da quando aveva 14 anni: «Lasciare la famiglia non è stata una scelta facile ma, sci o tennis, ho sempre voluto diventare forte in uno sport. I miei mi hanno lasciato libero, li ringrazio». Papà Hanspeter fa il cuoco in Val Fiscalina, mamma Siglinde è cameriera nello stesso rifugio, il fratello Mark (tre anni più grande) è nato nel ‘98 a Rostov sul Don, in Russia. È stato adottato dai Sinner quando pensavano di non poter avere figli. Poi il 16 agosto 2001 la cicogna ha portato il Barone Rosso. E nel fagotto c’era avvolta una racchetta.
Da piccolo ero campione italiano junior di gigante e mi piaceva Bode Miller. Insomma ho sempre voluto diventare forte in uno sport. Sono nato a un passo dall’austria, ma sono italiano. Alla Playstation mi piace De Bruyne, perché sa fare gol da fuori area