Hitler diventa amico d’infanzia: satira contro il nazismo
Per inaugurare la trentasettesima edizione del Torino Film Festival, la direttrice Emanuela Martini ha scelto Jojo Rabbit di Taika Waititi, divertente commedia surrealsatirica già premiata dal pubblico a Toronto. Nella Germania che sta perdendo la guerra, il piccolo Jojo stravede per la mitologia nazista tanto da avere come amico immaginario addirittura Hitler, ancorché in versione non proprio realistica (e interpretato dallo stesso regista): con lui si confida quando viene emarginato dai più esaltati membri della Hitlerjugend,
con lui s’interoga quando scopre che la mamma (Scarlett Johansson) nasconde in casa una ragazzina ebrea. Ispirato al libro «Il cielo in gabbia» di Christine Leunens (Sem), ma con maggiori ambizioni comiche, il film ironizza con grazia e delicatezza sulla fascinazione che il nazismo poteva esercitare sui più ingenui (facile immaginare il tono delle confidenze con un Hitler imbranato e non molto ortodosso) e ne ribalta gli effetti, costringendo Jojo, convinto per esempio che gli ebrei abbiano corna e coda, a confrontarsi con la dolce ragazzina ebrea che gli ricorda persino la sorellina morta. Facendo spesso sorridere ma anche senza dimenticare di ricordarci le tragedie che il nazismo comportò, specie per chi osava opporvisi. E se il doloroso umorismo di Chaplin e del suo Il grande dittatore è inarrivabile, quello fanciullesco ma non banale del film di Waititi (che qui cambia totalmente tono dal precedente Thor: Ragnarok) dà al film il tono di una favola non scontata. Su tutt’altro registro, rigorosamente realistico, si muove invece Noura rêve (Noura sogna) della tunisina Hinde Boujemaa che affronta il problema dell’adulterio femminile, punito dall’articolo 236 del codice penale del suo Paese anche con cinque anni di prigione. Li rischia Noura, interpretata dalla star del cinema egiziano Hend Sabri, per una volta senza un filo di trucco: un’inaspettata amnistia libera il marito malavitoso mettendo in crisi la relazione che Moura ha con un altro uomo (in attesa di un divorzio che tarda ad arrivare) e naturalmente innescando la gelosia del coniuge che non impiega molto a scoprire quello che è successo. E che fa precipitare la situazione nel peggior modo possibile. Boujemaa non fa mai della sua protagonista un’eroina (anche lei ha i suoi difetti), ma affronta di petto le conseguenze di una legge arcaica e maschilista, senza dimenticare l’arretratezza generalizzata della società e la corruzione (nel caso, della polizia) radicata ovunque. Ne esce un film orgogliosamente civile, che non fa sconti a nessuno e che accompagna lo spettatore a riflettere su cosa significhi oggi essere donna nel mondo arabo.