Da Migliori a Lachapelle È lo sguardo fotografico
La sezione degli scatti: dove la quotidianità si mette in posa
Nel cuore di «Natura in posa» c’è una piccola sezione che promette di intrigare e interrogare anche gli appassionati d’arte più tradizionalisti. Si tratta dello spazio dedicato alla fotografia contemporanea dove Denis Curti, curatore e giornalista dal curriculum «fotografico» autorevole e smisurato, ha raccolto 25 esempi di nature morte secondo l’interpretazione di alcuni celebri fotografi internazionali come David Lachapelle, Martin Parr, Robert Mapplethorpe, Nobuyoshi Araki, Franco Vimercati, Hans Op De Beeck e Nino Migliori.
«Da quando una sentenza del Tribunale di Parigi del 1862 sancì che la fotografia era a tutti gli effetti un’arte è passata un’eternità — dice Curti —. Ma finalmente oggi nessuno si sognerebbe di negarlo. Le fiere internazionali specializzate come Paris Photo o Photo London sono piene di collezionisti d’arte contemporanea che si avvicinano con grande curiosità alla fotografia come a un linguaggio complesso da esplorare e considerare per la propria raccolta». Gli scatti in esposizione rispondono a loro modo al famoso modello ideato da John Szarkowski, direttore del dipartimento di fotografia al Museum of Modern Art di New York tra il 1962 e il 1991, che per facilitare la comprensione del grande pubblico aveva suddiviso le fotografie in finestre e specchi: gli autori delle prime ci aprono una finestra sul mondo, avendo loro stessi bisogno di un confronto costante e continuo con la realtà precostituita, cioè con quello che gli si presenta davanti agli occhi. I fotografi-specchio ci mostrano una sorta di immagine di loro stessi. Considerano la realtà così com’è insufficiente a dare soddisfazione e sfogo alla loro creatività, ai loro sentimenti, e quindi hanno bisogno di costruirne una parallela. «Sono questi ultimi che ho selezionato, che usano un linguaggio completamente diverso dai reporter e dagli street photographer, un linguaggio che assomiglia alla pittura — spiega Curti —.
Costruiscono una scena, per l’appunto la mettono “in posa”, ricompongono una realtà che di fatto non esiste e che loro plasmano per i propri occhi e per quelli di chi la guarderà, una realtà che gli è più vicina».
Ci sono i bizzarri reportage di Martin Parr sul consumo di massa; i meravigliosi mazzi di fiori di David Lachapelle che, guardati da vicino, svelano ben altri contenuti; le poeticissime foglie in decomposizione dell’herbarium di Nino Migliori, allegoria della caducità della vita; gli scatti di Nobuyoshi Araki, che ha sempre fotografato le stesse quattro cose: scene di bondage, cieli, fiori e i piatti mangiati dall’amatissima moglie, circoscrivendo una visione precisa del mondo che ha continuato ad approfondire. «C’è anche il caso di Franco Vimercati, oggi esposto nei maggiori musei del mondo, che fotografava solo oggetti. Qui c’è una banale zuppiera dimenticata da un inquilino precedente, che lui ha ritratto in tanti modi diversi, ma cambiando posizione e luce, con l’intento di svelare l’oggettività della fotografia togliendole la portata letteraria».
Il legame tra pittura e fotografia, al di là dei diversi strumenti tecnici utilizzati, consiste in una consonanza di sentimenti, sogni e visioni tra artisti che si rinnova nel tempo. «La cosa che mi ha più colpito preparando questa mostra è che dal 1839, anno dell’annuncio della scoperta della fotografia, ad oggi i fotografi non hanno mai smesso di confrontarsi con il tema della natura morta — conclude Denis Curti —. Trovo questa cosa bellissima, perché è un genere fotografico che è affiancato alla pittura classica, ma che non ha mai smesso di esprimere anche un’idea di modernità e di rinnovamento continuo».
Lo spirito
Qui si ricompone una realtà che di fatto non esiste e che vive per chi la si mette a guardarla