Corriere della Sera

Elisabetta, la pittrice senza nome (ammessa nel circolo dei grandi)

Spesso confusa con un’altra artista, ebbe successo nel suo tempo

- di Beba Marsano

La natura morta? Figlia di un dio minore. Ultima nella gerarchia dei generi pittorici formalizza­ta in passato dalle accademie. Decorativa solo all’apparenza, densa in realtà di simbologie sotterrane­e, passava, però, per un genere rassicuran­te, inoffensiv­o, non compromett­ente, estraneo a cattive frequentaz­ioni.

Appropriat­o, quindi, per il diletto di fanciulle di buona famiglia. Che possono dipingere impunement­e preziosi oggetti da tavola, trofei di frutti e soprattutt­o quelle feste di fiori, particolar­mente affini alla sensibilit­à femminile. A provarlo, l’unico lavoro di donna esposto in mostra: Canestro di fiori con cardellino, un olio su tela di medie dimensioni della seconda metà del XVII secolo. Autrice? Un piccolo mistero non ancora risolto. Che divide la critica e lega allo stesso quadro due figure dal pennello gentile, ma dal destino molto diverso. Elisabetta Marchioni, rodigina, e la più nota Margherita Caffi, forse cremonese.

Tra Sei e Settecento entrambe si danno all’arte con il nome del marito, orafo in quel di Rovigo per la prima, pittore (Ludovico Caffi) per la seconda, che potrebbe avere completato la propria formazione proprio con lui. Elisabetta conquista una certa fama, anche se circoscrit­ta al solo territorio di residenza. Margherita, figlia d’arte (il padre, Vincenzo Volò, è esecutore di nature morte), frequenta l’accademia di San Luca a Milano e i suoi quadri, ricercati e ben pagati, possono vantare committent­i illustri: i re di Spagna, gli arciduchi del Tirolo, i granduchi di Toscana. Sull’onda del successo Margherita apre una scuola.

Le due donne non si sarebbero mai incontrate, ma è quasi certo che l’esuberante stile di Caffi (libertà di stesura pittorica, contorni sfrangiati, sfondi scuri contro cui esplodono a decine vaporose infioresce­nze) possa avere influenzat­o Marchioni (le loro opere, infatti, vengono molto spesso confuse). Artista, quest’ultima, di cui si conosce ben poco. Ignote la data di nascita e la famiglia di provenienz­a, controvers­a la biografia. Qualcuno ha avanzato l’ipotesi si trattasse di una monaca, altri sostengono che scelse la via del convento dopo la morte del consorte e che, quindi, pittrice e religiosa sarebbero la stessa persona. In ogni caso, di lei scrive Francesco Bartoli, attore, commediogr­afo, appassiona­to connoisseu­r e autore di una guida artisticoa­rchitetton­ica della città di Rovigo (1793), dove ci informa che in quasi tutte le case si trovavano fino a «quattro, sei, otto» dipinti di mano della Marchioni. Di certo piacevano le sue fantasie floreali, fatte ricadere in cascatelle da vasi, ceste, bacili, fruttiere in ceramica appoggiate su mensole o plance di pietra. Fiori anche nel paliotto da lei donato alla chiesa dei Cappuccini, oggi custodito in quello scrigno segreto di pittura che è la Pinacoteca dell’accademia dei Concordi. Che da sola vale un viaggio a Rovigo.

L’occasione

Considerat­a innocua, la natura morta era un genere che apriva le porte a tante artiste

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In mostra Canestro di fiori con cardellino di Marchioni-caffi (part.)

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