LO SGUARDO RIVOLTO AL PASSATO
Paradossale la discussione parlamentare sul Meccanismo europeo di stabilità (Mes). Si è discusso degli epifenomeni, di ciò che è accessorio (il governo italiano ha mentito? Sapeva o non sapeva? Ha informato o non ha informato il Parlamento?), non delle modifiche proposte a quattro articoli di un trattato di 48 articoli, già firmato nel 2012, modifiche che richiedono comunque una ratifica parlamentare in ogni Stato.
Una seconda dimostrazione della nostra schizofrenia sta nella contraddizione tra lo spirito non cooperativo rispetto all’unione europea, che ha dominato il dibattito, e l’operosa iniziativa del ministro dell’interno, che si è assicurata la cooperazione di un certo numero di Paesi membri dell’unione per risolvere un problema che il principale oppositore del Mes aveva posto, quando occupava la stessa carica, quello di distribuire gli immigrati nei Paesi dell’unione.
Poi, mentre noi discutiamo del sesso degli angeli, in una nuova Arcadia, sempre con lo sguardo rivolto verso il passato, Francia e Germania fanno piani per il futuro dell’unione, tema a cui propongono di dedicare il prossimo anno e mezzo.
Il Mes non nasconde tutti i pericoli che sono stati evocati, è anzi uno strumento al servizio degli Stati, ai quali può erogare prestiti in caso di difficoltà, come ha già fatto con Spagna, Grecia, Portogallo, Irlanda e Cipro.
Nell’organo di governo del Mes le decisioni più importanti vanno prese con mutuo accordo e comunque l’italia ha già una quota del capitale che le consente un potere di veto: dovremmo aver paura di noi stessi? I 19 Paesi che fanno parte del Mes contribuiscono non in base alla propria rischiosità, ma alle proprie dimensioni (popolazione e Prodotto interno lordo). Quindi la Germania, il Paese che presenta meno rischi, contribuisce con la quota più elevata: non è questo un esempio di quella solidarietà che chiediamo ogni giorno all’unione? Le modifiche proposte riguardano principalmente l’attribuzione al Mes, insieme alla Commissione europea, «in collegamento» con la Banca centrale europea, del compito di valutare la sostenibilità del debito dello Stato richiedente (qualunque istituzione che eroga un prestito deve farlo); la possibilità del Fondo di risoluzione delle banche di ricorrere al Mes se i propri fondi non fossero sufficienti per intervenire sulle banche in difficoltà (considerato l’ammontare di titoli del debito pubblico in possesso di banche italiane, questo ampliamento è nell’interesse anche dei risparmiatori italiani); l’aggiunta di un altro controllore del debito pubblico (composto dai 19 governi dell’eurozona) alla Commissione europea (ma senza che il suo controllo produca effetti, se non viene richiesto il suo intervento). Il dubbio sollevato da qualche critico riguarda il potere del Mes (reso più incisivo) di condizionare il suo intervento a una ristrutturazione del debito. Ma chi presterebbe risorse finanziarie a qualcuno che non sia in grado di restituirle? E lo Stato che non voglia sottostare a tali condizioni non avrebbe sempre l’opzione di non ricorrere al Mes? Dovrei concludere che si è fatto molto rumore per nulla e che stiamo perdendo un’altra buona occasione per far sentire la nostra voce nell’unione Europea. Ma vorrei aggiungere che, forse, non tutto il male viene per nuocere. Coloro che dovranno negoziare a Bruxelles potrebbero far valere proprio queste continue difficoltà avanzate dai nostri sovranisti per ottenere una rapida approvazione dei progetti relativi al completamento dell’unione bancaria, alla assicurazione sui depositi, al bilancio dell’eurozona. Così diventerebbe utile anche lo sconcertante dibattito che si sta svolgendo, si darebbe un seguito a una recente apertura del ministro tedesco delle Finanze e si seguirebbe una prassi europea e internazionale, quella delle decisioni dette a pacchetto, alla quale si ricorre quando è necessario non bilanciare due interessi contrapposti, ma contemperare una molteplicità di interessi divergenti.