Cogne, i sigilli sul caso Franzoni
La casa appare sempre dopo l’ultimo tornante. La più alta del paese, in frazione Montroz. Una sola salita la separa da Cogne, eppure sembra lontana da tutto. Come fosse un monumento, levigato da diciassette anni di riprese televisive, servizi fotografici e migliaia di selfie macabri. La notizia che l’avvocato Carlo Taormina intende chiedere al tribunale di Aosta il pignoramento della villetta più famosa d’italia per riscuotere i mancati pagamenti di Annamaria Franzoni, sua altrettanto celebre ex cliente, rappresenta un discreto paradosso. Perché il legale romano, ex sottosegretario alla Giustizia, è uno dei pilastri sui quali venne edificata una ossessione nazionale che ha trasformato l’immobile abbastanza anonimo dove era stato ucciso Samuele Lorenzi, un bimbo di tre anni, in un funereo luogo di attrazione. Fu lui, con l’assenso della famiglia
Franzoni, a sottrarre l’inchiesta alle aule giudiziarie per consegnarla infine a una serialità televisiva dalla cadenza quasi quotidiana, divenuta cifra del racconto su ogni delitto che è seguito, format replicabile, cronaca nera come spettacolo. Lo fece con una strategia di difesa che contemplava solo l’attacco mediatico. Agli inquirenti, agli investigatori scientifici, a chi sollevava obiezioni nei talk show divenuti unico tribunale possibile nel quale far esibire la sua cliente. Alimentava la tensione con continui annunci televisivi sulla identità del vero assassino. Sappiamo come è andata. Qualche anno fa apparve la notizia, mai confermata, che la villetta di Cogne era in vendita. Comunque non spuntarono acquirenti. Per quanto abbandonato, nessuno vuole comprare un monumento alla morbosità, costruito sul sangue di un bambino, e sulle lacrime della mamma che lo uccise.