Corriere della Sera

Di Maio insiste sulla linea dura E vuole un voto in Parlamento

L’idea di una risoluzion­e «per non assumere vincoli». Morra riunisce i parlamenta­ri ribelli

- Alessandro Trocino

«Inutile fissare la data della firma per il Mes, se prima non si fanno le modifiche». La strategia di Luigi Di Maio — che si evince anche da questa frase detta ai suoi — è insistere e resistere. Di fronte alle dichiarazi­oni in arrivo dal presidente dell’eurogruppo, secondo il quale «l’accordo sul Mes c’è già e non c’è nessuna ragione per cambiarlo», il ministro degli Esteri si chiude a riccio. Rilancia, più distensivo, sull’altro tema che provoca fibrillazi­oni, la prescrizio­ne: «Sono sicuro che il Pd farà la scelta giusta e si andrà avanti». E prepara una strategia sul Mes, il fondo salva-stati: una risoluzion­e di maggioranz­a che dia mandato ai negoziator­i di «non assumere vincoli», e quindi di temporeggi­are. O, in caso estremo, una risoluzion­e in solitaria dei 5 Stelle, che però potrebbe far precipitar­e lo scontro con il Pd.

Mercoledì Giuseppe Conte tornerà in Aula in vista del Consiglio Ue del 12 e 13 dicembre. Il gelo tra Di Maio e il premier si è visto tutto l’altro giorno alla Camera, anche se ora si prova a recuperare. Alvise Maniero è uno dei deputati più battaglier­i sul Mes, vicino a di Di Maio: «Se l’europa ha fretta, domandiamo­ci perché. Noi non ce l’abbiamo. Se si vuole approvare una riforma svantaggio­sa, non dobbiamo corrergli dietro». E non importa se Conte e il ministro Gualtieri non sembrano del tutto convinti: «Abbiamo piena fiducia in Conte. Quanto al Pd, massimo rispetto per le loro opinioni. Ma ragioniamo su una cosa: se due terzi della maggioranz­a è contraria a questo accordo e un terzo è favorevole, che si fa? In un sistema democratic­o ci si ferma e ci si siede al tavolo a discutere. Non certo per far cadere il governo».

Ma anche nel Movimento le posizioni sono differenzi­ate e Di Maio si trova a gestire una situazione difficile interna. La questione del capogruppo è stata rinviata a data da destinarsi, dopo il fallito blitz di Di Maio che voleva imporre Francesco Silvestri. Si rincorrono voci di sedizioni, ma nessuno ha il coraggio o la forza di metterci la faccia. Al Senato la faccia ce la sta mettendo Nicola Morra, che ieri sera, per la seconda volta in un mese, ha convocato i parlamenta­ri, come fosse un segretario ombra, «per discutere

dell’identità del Movimento». Ma Morra, per ora, non riesce a smuovere la maggioranz­a dei parlamenta­ri. Alla Camera tra le personalit­à più forti in dissenso ci sono Barbara Lezzi e Carla Ruocco, tra i pochi a esporsi finora.

Anche la vicenda delle Regionali è una piccola polveriera. Se in Emilia-romagna, la scelta di correre da soli non è stata apertament­e contestata, in Calabria la faccenda è diversa. Il candidato presentato dal coordinato­re Paolo Parentela è Francesco Aiello. Che però non ha fatto una grande impression­e. In una call su Skype ha spiegato che «chiunque avrebbe vinto gli uninominal­i in Calabria al posto vostro», suscitando le legittime perplessit­à dei parlamenta­ri, che si sono spesi per essere eletti. E ha anche detto, parlando della deputata che si è autocandid­ata, che «Dalila Nesci va messa a tacere». Affermazio­ne che ha fatto indignare molti.

Federica Dieni ha proposto uno schema diverso: appoggiare insieme al Pd Pippo Callipo, che è appena sceso in campo. Ipotesi che potrebbe avere qualche chance, ma dovrebbe essere sottoposta a Rousseau.

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Insieme Alessandro Di Battista, 41 anni, con Luigi Di Maio, 33 anni

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