Corriere della Sera

Quarant’anni e la pensione d’oro Il supermanag­er torna a vita privata

Page e Brin (Google) tra panfili, assistenti personali e isole caraibiche. Non sono i soli

- Da New York Massimo Gaggi

Pensionati (d’oro) a 46 anni? La prima impression­e è questa davanti al ritiro di Larry Page e Sergey Brin da tutte le cariche operative del gruppo che hanno fondato 21 anni fa. Rimangono azionisti di controllo e membri del board che governa le società, è vero, e non sono i primi leader di big tech a ritirarsi.

Ma gli altri casi sono ben diversi: Bill Gates lasciò Microsoft nel 2008 per diventare il leader mondiale della filantropi­a. Il cofondator­e Paul Allen se ne era andato via molto prima: già nel 1982 quando gli venne diagnostic­ato il morbo di Hodgkin (ricevette il 36% delle azioni della società).

Steve Jobs è stato ucciso dal cancro. Steve Wozniak, che fondò Apple con lui nel 1976, andò via anche lui abbastanza presto: nel 1985, quando scoprì, tornando in azienda dopo un incidente aereo, che Jobs si era preso le sue deleghe. Venendo a tempi più recenti, Travis Kalanick è stato costretto due anni fa dagli altri azionisti a lasciare Uber, ma ora sta lanciando altre ambiziose startup.

Il caso di Page e Brin è almeno in parte diverso: i due non hanno mai amato i compiti di gestione ordinaria di un’azienda complessa. Quando erano molto giovani, li avevano delegati all’adult in the room, Eric Schmidt. Nel 2011 Page aveva ripreso le redini dell’azienda mettendosi a lavorare 80 ore alla settimana, ma la routine l’aveva ben presto logorato. Così nel 2015 i fondatori si erano ritirati al vertice della neonata Alphabet, la capogruppo, lasciando a Sundar Pichai la guida di Google e delle altre attività (come Youtube) che producono la quasi totalità del fatturato.

I fondatori, innamorati della tecnologia e desiderosi di nuove sfide, preferivan­o dedicarsi a quelle che loro stessi hanno definito other bets, altre scommesse: le auto-robot di Waymo, l’intelligen­za artificial­e di Deepmind, le biotecnolo­gie di Calico per allungare la vita e altro ancora. Sono le attività di Alphabet che i due potrebbero continuare a seguire anche in futuro.

Magari con meno passione, visto che i sogni di cambiare il mondo si sono scontrati con difficoltà, ritardi e anche qualche insuccesso, dall’auto senza pilota che ancora non arriva dopo molti anni di collaudi, ai Google Glasses (occhiali digitali) lanciati con grande enfasi e poi cancellati.

Forse disamorati dall’ostilità contro le imprese della Silicon Valley e dai contrasti interni coi dipendenti, per Page e Brin è venuto il tempo di godersi i patrimoni gemelli — circa 60 miliardi di dollari ciascuno — da loro accumulati.

Del resto hanno già cominciato: Larry Page da tempo si vede poco in azienda. L’anno scorso, quando non partecipò nemmeno all’assemblea degli azionisti e all’audizione davanti al Congresso che lo aveva convocato, Business Week scrisse che ormai passava più tempo nella sua isola caraibica che in ufficio.

Page, poi, ha comprato uno yacht da 60 metri, Senses, attrezzato per le esplorazio­ni oceaniche. Gli è costato 45 milioni. Molti, ma la metà di quanto speso da Brin per il suo superpanfi­lo. Sergey vive come un nababbo, circondato da un team di 47 dipendenti, tra i quali un personal shopper e un ex Navy Seals.

L’impegno

Nel 2011 Page aveva ripreso a lavorare 80 ore alla settimana: una routine logorante

I due comunque non staranno con le mani in mano. Hanno anche loro attività filantropi­che, sia pure non della portata di quelle di Bill Gates. E continuera­nno a essere guidati dalla passione per la tecnologia, anche al di fuori di Google-alphabet.

Page, ad esempio, è azionista di Tesla, vuole estrarre minerali dagli asteroidi con la società Planetary Resources e ha puntato sui velivoli elettrici personali e gli aerotaxi con altre due società: Kitty Hawk e Cora. Ma vari problemi tecnici (batterie in fiamme, rotture, problemi legali e di sicurezza), hanno portato all’abbandono dei velivoli elettrici monoposto.

L’aerotaxi Cora, invece, va avanti, ma Page ha chiamato al capezzale della società chi ne sa più di lui di volo: la Boeing.

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