«L’arte è solidale» Il Turner Prize diviso in quattro
La scelta dei finalisti
Niente di nuovo, in fondo. Era già successo nel 2016 quando Helen Marten, la vincitrice di allora del Turner Prize (forse il premio più importante al mondo per l’arte contemporanea che ha incoronato tra gli altri Anish Kapoor e Richard Long) aveva diviso il riconoscimento (denaro compreso) con gli altri finalisti. Ma se quello era sembrato un gesto più che altro di generosità personale, la decisione (annunciata ieri notte) dai quattro artisti in lizza per il 2019 (Lawrence Abu Hamdan, Helen Cammock, Oscar Murillo, Tai Shani) di chiedere alla giuria «di assegnare il premio collettivamente» è sembrata essere nata da una ben più definita motivazione etica. Ben sottolineata ieri notte dai quattro durante lo speech pronunciato (uno accanto all’altro) alla cerimonia di premiazione, nel parco di divertimenti di Dreamland, a Margate, Kent. «In questo momento di crisi politica in Gran Bretagna e in gran parte del mondo, quando ci sono già tante cause che dividono e isolano le persone e le comunità — hanno spiegato —, ci sentiamo motivati a sfruttare l’occasione del premio per fare una dichiarazione collettiva, in nome della condivisione, della molteplicità e della solidarietà, nell’arte come nella società». Artisti da sempre impegnati nell’affrontare i temi più urgenti della contemporaneità, come quelli della migrazione, del patriarcato e dei diritti civili, Hamdan (1985), Cammock (1970), Murillo (1986) e Shani (1976) sembrerebbero ora aver fatto molto di più: con la loro richiesta (elaborata a quanto pare già al momento delle nomination) che si tradurrà economicamente in un’equa divisione in quattro del montepremi di 40 mila sterline, avrebbero dato una spallata al potere di quei premi capaci di fare letteralmente la fortuna di un artista. O, come stavolta, ormai incapaci di scegliere per davvero.