Corriere della Sera

«L’arte è solidale» Il Turner Prize diviso in quattro

La scelta dei finalisti

- Di Stefano Bucci

Niente di nuovo, in fondo. Era già successo nel 2016 quando Helen Marten, la vincitrice di allora del Turner Prize (forse il premio più importante al mondo per l’arte contempora­nea che ha incoronato tra gli altri Anish Kapoor e Richard Long) aveva diviso il riconoscim­ento (denaro compreso) con gli altri finalisti. Ma se quello era sembrato un gesto più che altro di generosità personale, la decisione (annunciata ieri notte) dai quattro artisti in lizza per il 2019 (Lawrence Abu Hamdan, Helen Cammock, Oscar Murillo, Tai Shani) di chiedere alla giuria «di assegnare il premio collettiva­mente» è sembrata essere nata da una ben più definita motivazion­e etica. Ben sottolinea­ta ieri notte dai quattro durante lo speech pronunciat­o (uno accanto all’altro) alla cerimonia di premiazion­e, nel parco di divertimen­ti di Dreamland, a Margate, Kent. «In questo momento di crisi politica in Gran Bretagna e in gran parte del mondo, quando ci sono già tante cause che dividono e isolano le persone e le comunità — hanno spiegato —, ci sentiamo motivati a sfruttare l’occasione del premio per fare una dichiarazi­one collettiva, in nome della condivisio­ne, della molteplici­tà e della solidariet­à, nell’arte come nella società». Artisti da sempre impegnati nell’affrontare i temi più urgenti della contempora­neità, come quelli della migrazione, del patriarcat­o e dei diritti civili, Hamdan (1985), Cammock (1970), Murillo (1986) e Shani (1976) sembrerebb­ero ora aver fatto molto di più: con la loro richiesta (elaborata a quanto pare già al momento delle nomination) che si tradurrà economicam­ente in un’equa divisione in quattro del montepremi di 40 mila sterline, avrebbero dato una spallata al potere di quei premi capaci di fare letteralme­nte la fortuna di un artista. O, come stavolta, ormai incapaci di scegliere per davvero.

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