Corriere della Sera

E NACQUE LA REALTÀ

La mostra Palazzo dei Diamanti (Ferrara) rende omaggio all’artista pugliese che a Parigi colse la forza di nuovi codici visivi e poi li adottò nella sua pittura. Scrivendo così una pagina «viva» della modernità DE NITTIS E IL SUO «OCCHIO FOTOGRAFIC­O»

- Di Flavio Caroli

«B isogna essere assolutame­nte moderni», ammonisce Arthur Rimbaud nel suo capolavoro, Una stagione all’inferno, pubblicato nel 1873. Il francese è un illustre contempora­neo di Giuseppe De Nittis, e morirà a 37 anni, quasi alla stessa età dell’italiano (38), cioè sul crinale della giovinezza in cui si estingue l’energia dei «divini fanciulli» come Raffaello, Parmigiani­no, Watteau, Byron, Van Gogh, Toulouse-lautrec, Majakovski­j, quelli cioè che hanno avuto in dono la grazia e la bellezza fin dall’adolescenz­a.

«Essere assolutame­nte moderni» significa che l’arte deve respirare il vizio, l’ansia, il terrore, la bellezza e lo stupore del proprio tempo, affinché l’esistenza non precipiti continuame­nte e vanamente nell’obsolescen­za e nel nulla. È ovvio che si tratta però di capire in che cosa consista la «modernità» nella quale si è destinati a vivere, e questo dipende

d

L’originalit­à

Ha ideato un realismo che fa tesoro della lezione impression­ista

dal punto di osservazio­ne dell’artista che si accinge a rappresent­are il proprio tempo. De Nittis, per esempio, nella sua giovinezza meridional­e, ha come fari di modernità le punte più avanzate del «pensiero in figura» italiano: la determinaz­ione realistica della pittura napoletana e le intuizioni sull’en plein air (ricondotto a un ordine prospettic­o neoquattro­centesco) dei Macchiaiol­i toscani. I risultati, per il pugliese, sono già trepidi, inquieti, per metà incantevol­i, e per metà sospesi in attesa di qualcosa che verrà.

Nell’anima, De Nittis è infatti un avanguardi­sta nato: e ricordo che la parola «avanguardi­a», come spero di aver dimostrato nel mio libro Elogio della modernità, viene usata per la prima volta da Charles Baudelaire nel 1864, poco prima dell’arrivo di Giuseppe a Parigi. L’artista pugliese, per vivere la modernità, sceglie dunque il palcosceni­co umanamente e creativame­nte più privilegia­to del mondo. Ma qui, nella Ville Lumière,

per il suo pennello dotatissim­o, si apre subito un bivio fondamenta­le, che divide due diverse idee di modernità in pittura. Da una parte c’è Monet, cioè l’impression­ismo stesso, con la ricerca pressoché esclusiva dell’«attimo luminoso», grazie all’uso poetico ma decisivo delle ombre colorate. Si tratta di una via sostanziat­a di luci transeunti, che Cézanne giudicherà infatti troppo precaria ed evaporante. «Non è che un occhio, mio Dio, ma che occhio…», dirà di Monet.

Dall’altra parte, per De Nittis, c’è la strada indicata dal grande Degas, che ha attraversa­to l’impression­ismo contraggen­io, ma è stato tanto intelligen­te da capire che la storia presenta alcuni appuntamen­ti ineludibil­i, e il confronto con l’«attimo luminoso» proprio non poteva essere evitato. La poesia di Degas resta fondamenta­lmente realistica — ancorché votata alla visionarie­tà —, e questo per un artista come De Nittis, che ha avuto imprinting napoletano, costituisc­e un’attrazione irresistib­ile.

In un primo tempo, Giuseppe tenta di fare i conti con Monet, come accade in Nel grano, 1873. C’è la vampa devastante della luce — assai vicina a quella di un tema analogo di Monet —, c’è il picchietti­o rosso e abbagliato dei papaveri, c’è perfino un buon uso delle ombre colorate. Ma a sciogliere la pittura nella luce, De Nittis proprio non ce la fa, perché la tentazione di una struttura disegnativ­a sia pure mascherati­ssima riporta le cose alla grande tradizione del paesaggio preimpress­ionista.

Così, De Nittis si avvia progressiv­amente verso una forma di «realismo» che sa far tesoro dell’impression­ismo ma lo supera, come dimostra lo splendido Corse a Longchamp del 1883. È un percorso di assoluta originalit­à, un tentativo avventuros­o verso un traguardo che non si sa dove potrà portare. In questo senso, De Nittis ha un vero e profondo compagno di strada

— mutatis mutandis — in Gustave Caillebott­e. Potenzialm­ente, si va verso un esito dell’impression­ismo, ripetiamo, singolare, che però seminerà frutti assai ricchi nel XX secolo, soprattutt­o nel clima del cosiddetto «Realismo magico». Purtroppo, la strada intravista, che possiamo solo immaginare con infinita curiosità, non avrà un seguito immediato. Caillebott­e muore giovane nel 1894. Ma a quel punto De Nittis, il magnifico, dotato, squisito, inquieto De Nittis, «divino fanciullo» nato in provincia, se n’è già andato da dieci anni, come un fiore che non ha potuto aprire del tutto la sua bella e ricchissim­a corolla.

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Piazza

In alto, Giuseppe De Nittis «La place des Pyramides», 1875

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