Un taglio così preciso che ricorda l’obiettivo
L’esposizione propone una serie di scatti accanto ai quadri
Dal finestrino di una carrozza: per capire la mostra De Nittis e la rivoluzione dello sguardo bisogna partire da un finestrino. Giuseppe De Nittis non era artista «da studio», lunghe ore di immobilità davanti al cavalletto, e neppure da en plein air: aveva un atelier mobile, con cui si spostava di continuo. Dipingeva in penombra, osservando da quell’oblò: visi, corpi, strade, paesaggi gli apparivano filtrati dall’originale prospettiva, un taglio preciso, ridotto, che ricorda incredibilmente quello dell’obiettivo fotografico.
La mostra, promossa da Fondazione Ferrara Arte e Gallerie d’arte Moderna e Contemporanea, in collaborazione con il Comune di Barletta, si apre con una scatola, «Inventario post mortem dei beni appartenuti a Giuseppe De Nittis, 16 settembre 1884», che il visitatore trova nella prima sala. Dentro, un centinaio di fotografie, il pittore era un collezionista. È la chiave della retrospettiva dedicata all’artista pugliese, nato a Barletta nel 1846, che trova il successo a Parigi, dove si era trasferito negli anni Settanta. L’avvento della fotografia, nella seconda metà dell’ottocento, investe il mondo dell’arte della capitale francese: De Nittis è sensibilissimo al nuovo mezzo, non a caso la critica del tempo arriva ad accostare la sua pittura alla fotografia. «Il nucleo del suo linguaggio artistico è proprio questo occhio fotografico», spiega Maria Luisa Pacelli, curatrice della mostra insieme a Barbara Guidi e Hélène Pinet, «con la centralità dell’inquadratura del soggetto, la capacità espressiva al limite dell’iperrealismo, la tavolozza che ricorda il dagherrotipo».
Ecco svelato il titolo della mostra, La rivoluzione dello sguardo. Per sottolineare questo sguardo, e permettere al pubblico il confronto, le novanta opere esposte (dipinti, acquerelli, pastelli) sono accompagnate da una sessantina di fotografie originali di importanti autori dell’epoca, Edward Steichem, Alfred Stieglitz, Alvin Coburn, Gustave Le Gray. La mostra è divisa per sezioni cronologiche e tematiche. L’inizio è con la pittura di paesaggio, De Nittis nasce paesaggista, con una comprensione dei colori della natura e della resa atmosferica sorprendenti. «Parigi era la patria elettiva, ma i legami con l’italia non furono mai interrotti, ci tornava per catturare la prepotente luce del sud, dando vita a quadri che restituiscono la sensazione della calura estiva». Come Traversata degli Appennini, La strada da Brindisi a Barletta, e la serie dedicata al Vesuvio (troppo moderna e bollata al tempo come balzana).
Altro capitolo è quello dedicato alle vedute urbane, parigine e londinesi. Quadri di diversa inclinazione: alcuni aneddotici, vedute con il via vai frenetico degli abitanti e prove sperimentali in cui l’artista si concentra sugli effetti atmosferici, come in Place de la Concorde e Nebbia a Westminster Bridge, quest’ultimo messo a confronto con un film su Westminster dei Fratelli Lumière. E ancora, una piccola sezione di vedute con la neve e una dedicata al giapponismo.
De Nittis ebbe una carriera lunga pochi decenni, morì a 38 anni. In vita fece fortuna con opere ispirate alla mondanità, in cui la clientela che comprava si riconosceva. Le signore che passeggiano in Avenue du Bois de Boulogne, le corse dei cavalli, le colazioni sull’erba. Nel dipinto Colazione in giardino si vedono la moglie e il figlio davanti a una tavola imbandita: un posto è libero, è il suo che si è alzato per dipingere. Accanto al quadro, una fotografia di Burtyhaviland, Gruppo di amici a Seven Springs: una sedia non è occupata, il fotografo è dietro l’obiettivo. il diritto di gestire il denaro e gli fa da segretaria, anche perché lui, a differenza di lei, non scrive correttamente né in italiano né in francese. Lui la dipinge, in tutte le pose. E lei, con pazienza, si presta. Il risultato è straordinario, dal punto di vista artistico. Lui chiede una totale dedizione: «E se ho preteso che per lei non esistesse nulla all’infuori di me, credo comunque di averla resa felice».
Al tempo stesso l’accusa di essere gelosa e ossessiva. Lei ha taciuto troppo perché a noi sia chiaro che cosa realmente pensasse. Ha scritto qualcosa per il teatro, un paio di romanzi e Notes et Souvenirs, una sorta di biografia del marito, da lui sottoscritta. Ma i suoi sentimenti… Poi lui, giovanissimo, muore, nel 1884. E lei si dedica alla sua memoria. È oppressa, però, dai debiti: deve vendere casa e dipinti. Non quelli di Peppino, che avrebbe lasciato, alla sua morte, nel 1913, alla città di Barletta.
La curatrice Maria Luisa Pacelli: «Una capacità espressiva al limite dell’iperrealismo»