L’inno al mondo di Steele? Coreografia d’eccezione
Ecco spuntare in Romaeuropa festival una domanda e un equivoco. Il titolo dello spettacolo è Rambert Event. Penso a Pascal Rambert, l’autore di Clotûre de l’amour: Rambert, francese, è drammaturgo e coreografo. Lo spettacolo, nel suo annuncio, contiene in prima evidenza il nome di Merce Cunningham, ma anche la voce Rambert: pensare a Pascal Rambert ha un senso. Ma Rambert è in verità la Rambert Company di Londra ed è Jeannie Steele che ha di nuovo allestito una coreografia d’eccezione (di Merce Cunningham), il cui titolo è Event, andato in scena per la prima volta nel 1964.
Event è considerato la prima performance della storia — della danza e del teatro. Nasceva da una precisa volontà di contaminazione tra le arti: accanto a Cunningham c’erano John Cage e Robert Rauschenberg. Era anche l’inizio di una post-modernità che oggi ancora vive con l’ausilio di Philip Selway, Adem Ilhan e Quinta per le musiche e di Gerhard Richter per le scene: il segno di Richter, su quelle undici travi che chiudono la scena, è inconfondibile. La domanda nasce dalla parola performance. Essa implica un elemento di imprevedibilità e l’imprevedibilità contiene almeno una particola di casualità. Performance uguale caso. Jeannie Steele invece dice: «Non solo repertorio, non solo brani consolidati allestiti per un’ora, ma molte altre soluzioni». E di seguito: «Il pubblico è sempre stato fondamentale nel percorso di Merce Cunningham, perché non c’è narrazione nei suoi spettacoli. Non ci sono storie. Ogni singolo spettatore deve avere la percezione del lavoro, essere parte della creazione». E infine: «Non c’è mai improvvisazione nei lavori di Cunningham. C’è semmai Casualità: si procede seguendo il Caso». A me sembra che in queste riflessioni vi sia contraddizione. Da una parte non c’è l’improvvisazione, vi è però il Caso (Steele usa la maiuscola). Cos’è dunque una performance? Come in essa convivono due opposti elementi?
Ad ogni buon conto, in Rambert Event una nota dominante c’è. Scaturisce già nei primi minuti e si consolida nel corso del tempo, di quell’ora di cui parla Steele. La nota dominante è nei costumi dei danzatori. Con chiarezza essi alludono a un mondo vegetale: verde, verde chiaro o più scuro, marrone, sensazione di rami e foglie, piante e alberi. Tranne una quasi impercettibile macchia di rosso, gli stessi colori, o la stessa sensazione (nello spettatore che io sono, come parte attiva della creazione) traggo dalle undici travi verticali di Richter.
Vi si aggiunge un altro elemento: quella danzatrice che salta sulla schiena dei suoi due compagni non potremmo dire che non sta tanto saltando quanto sgusciando? Non è il suo movimento simile a quello di un serpente? Tutti gli elementi del corpo di ballo entrano nel nostro campo visivo e subito ne fuggono via: non sono veloci come animali nella foresta? Rambert Event è niente più e niente meno che un inno al mondo vivente nella sua totalità.