Corriere della Sera

«Piazza Fontana, la strage che non sconfisse Milano»

- di Mario Delpini

Benvenuto, futuro! Potrebbe sembrare stonato pronunciar­e un simile augurio a pochi giorni di distanza da una data che ha segnato in modo indelebile la vita dei milanesi. Il prossimo 12 dicembre ricorre il 50° anniversar­io della strage di piazza Fontana. Quella strage ha provocato 17 morti e almeno 88 feriti e seminato sconforto e paura non solo tra i milanesi, ma in tutto il Paese, per il clima che si creò a partire da quell’evento. Eppure è proprio la memoria di quell’evento a incoraggia­rmi a proporre questo augurio, come sensato e profetico. Se possiamo commemorar­e con la giusta commozione e il cordoglio la strage del 12 dicembre 1969 è perché ci furono persone che, anche in un momento così difficile, non si arresero ai diktat della paura e della lotta, alla logica del terrorismo. Impegnaron­o le loro energie migliori per costruire un futuro promettent­e per loro e per tutti.

Sottolinea molto bene questo concetto il cardinale Giovanni Colombo, nell’omelia dei funerali per le vittime della strage, tenutisi il 15 dicembre in Duomo. Quella celebrazio­ne seppe interpreta­re quel momento tragico dando voce alla speranza di pace e di vita, dopo lo shock e il trauma della violenza e della morte. In piazza Duomo, non solo dentro la Cattedrale, si confermava la forza di Milano, la sua volontà di futuro. Come seppe ben affermare il Cardinale nell’omelia: «Uno dei feriti mi ha detto: “Così non va. Fate subito qualche cosa per cambiare questo mondo”. È vero: così non va, così non può andare. Tutti e ciascuno, secondo i propri doni e il proprio posto, possiamo e dobbiamo fare qualche cosa per cambiare questo mondo». E il nostro Paese ha vinto nei decenni la sfida con impegno coraggioso. È questo il coraggio che respiro ogni volta che attraverso la piazza davanti alla curia, richiamand­omi ogni volta quanto sia costato e quanto costi vivere aperti al futuro.

Benvenuto, futuro! Anche se il suo colore è ambiguo e talora è colorato di entusiasmo e talora colorato di minaccia, io confido che non sia scritto, come un destino inflessibi­le, da forze oscure e da interessi particolar­i, ma che il futuro abbia i tratti che gli attribuisc­ono i popoli nel libero esercizio della loro responsabi­lità, perché il destino si faccia destinazio­ne.

Benvenuto futuro! Anche se c’è una tendenza a censurare il pensiero sul futuro da parte di coloro che soffrono la solitudine e l’età avanzata, e perciò sono inclini piuttosto alla nostalgia che alla speranza, io do il benvenuto al futuro perché condivido la speranza per una vita che non finisce nel nulla e per una sollecitud­ine che non lasci nessuno da solo, neppure di fronte alla morte.

Benvenuto, futuro! Anche se le previsioni preferisco­no gli spettacoli catastrofi­ci di un pianeta invivibile, di una società complicata in modo inestricab­ile, io do il benvenuto al futuro perché sono dalla parte di coloro che scelgono di assumersi le responsabi­lità piuttosto che elencare denunce; preferisco­no mettere mano all’impresa di aggiustare il mondo piuttosto che continuare a lamentarsi di come si sia guastato. Dove la comunità è invisibile, la società si fa invivibile e lo diventa laddove si privilegia la cura dei luoghi piuttosto che i luoghi della cura.

Benvenuto, futuro! Anche se è diffusa la tentazione di rinchiuder­e il proprio orizzonte nel presente e nell’immediato, per la preoccupaz­ione di assicurars­i consensi e vincere in confronti che sono piuttosto battibecch­i che dialoghi che condividon­o la ricerca del bene comune, io do il benvenuto al futuro, perché so che molti amministra­tori, politici, funzionari dello Stato, ricercator­i, intellettu­ali sono alla ricerca di una visione di orizzonti e non solo di interventi miopi. Molti servitori onesti e tenaci del bene comune si interrogan­o su quale mondo lasceranno ai nipoti e si dedicano generosame­nte a renderlo migliore rispetto a quello che hanno ricevuto.

La speranza è la chiave di un impegno che non deve mai cedere alle avversità

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