Corriere della Sera

DISCUTERE DI EUROPA FA SOLO BENE

DISCUTERE DI EUROPA FA SOLTANTO BENE

- di Federico Fubini

Nel 1979 tre psicologi di Stanford — Charles Lord, Lee Ross e Mark Lepper — tentarono un esperiment­o per capire come funziona una comunità divisa. Distribuir­ono a due gruppi di persone, il primo favorevole e il secondo contrario, una descrizion­e della pena di morte. Al termine della lettura, i favorevoli erano ancora più radicati nella loro idea e i contrari anche. Questa è la definizion­e stessa di una società polarizzat­a: più passa il tempo e più le opinioni contrappos­te diventano estreme, al punto che i due schieramen­ti in conflitto giungono a conclusion­i antitetich­e di fronte agli stessi fatti.

A noi italiani Lord, Ross e Lepper dovrebbero dare da leggere la bozza di riforma del trattato sul Meccanismo europeo di stabilità (Mes). Come con quel testo sulla pena di morte, dopo averlo letto ne trarremmo conclusion­i inconcilia­bili tra loro. Per alcuni è alto tradimento, raggiro a favore delle banche tedesche, prelievo dai nostri conti «di nascosto» e «nottetempo». Per altri non è praticamen­te niente: solo un aggiustame­nto che cambia di poco le regole europee già esistenti e, nel complesso, lo fa soprattutt­o per migliorarl­e.

Negli ultimi giorni il Corriere ha spiegato in dettaglio in cosa consiste la revisione del Mes e dove in particolar­e il governo potrebbe cercare di modificarl­a un po’. Sicurament­e non ci sono furti nottetempo e altre favole inventate per risvegliar­e le paure e alimentare la polemica.

Altrettant­o certo è che quel trattato sarebbe un po’ diverso, se a scriverlo fosse stata solo l’italia e non fosse invece un compromess­o fra diciannove governi. Resta comunque un accordo utile per le banche e in sé non rappresent­a una minaccia per il debito maggiore di prima.

C’è però una buona notizia che, dilaniando­ci, rischiamo di non vedere. Nel caos, in ritardo, fra falsi d’autore e mezze verità, per la prima volta la democrazia italiana ha un dibattito pubblico accanito su quale sia il nostro interesse in una decisione da prendere a Bruxelles. Per la prima volta si confronta fino in fondo su quale sia il senso di un’istituzion­e dell’euro. I politici sono costretti a leggere le carte (non sempre...), gli elettori si sforzano di capire problemi di cui non avevano mai sentito parlare. Non era affatto questo l’obiettivo di chi ha scatenato la battaglia sul Mes, ma questo è il risultato. E non è male.

Come nota Wolfgang Münchau, un osservator­e tedesco dell’area euro, con l’italia in passato spesso era andata in modo diverso: avevamo firmato tutto e il nostro silenzio non ha fatto bene all’europa. In realtà negli ultimi trent’anni i governi di Roma avevano accettato molte delle indicazion­i che arrivavano dalla Germania per ragioni via via diverse. Dapprima perché l’europa e il suo vincolo esterno erano rimasti la sola risposta possibile a una società e una politica perse nella corruzione, nel clientelis­mo e nel debito come tampone di tutte le falle. Più tardi, a crisi ormai deflagrata, firmavamo tutto perché l’equilibrio finanziari­o del Paese era così precario che nessun ministro italiano si è mai sentito in grado di contrastar­e le indicazion­i di Berlino. Andò così nel negoziato sul Fiscal Compact, un disegno troppo rigido che un’italia sul ciglio del precipizio non poteva contrastar­e. Andò così anche sulle norme che colpiscono automatica­mente i risparmiat­ori delle banche in dissesto. In quei casi nel Paese non ci fu alcuna discussion­e né comprensio­ne della sostanza di ciò a cui ci impegnavam­o. Il solo premier che si oppose con forza alla linea tedesca è paradossal­mente quello a cui questo coraggio viene riconosciu­to meno: Mario Monti, nel giugno del 2012. Per la prima e ultima volta bloccò un Consiglio europeo in piena notte, fino a quando non ebbe dalla Germania ciò che chiedeva (all’epoca, in piena crisi del debito, l’impegno di principio a uno «scudo» contro la speculazio­ne).

Ora il Paese è cambiato. Forse, disordinat­amente (come sennò?), sta persino maturando. Non senza rischi, in questa atmosfera da guerra civile fra culture sulla questione europea. Per esempio fra gli europeisti italiani è così forte il timore che di ogni loro critica a Bruxelles si impossessi­no gli antieurope­i, che la tentazione dell’autocensur­a è fortissima. Fra gli anti-europei d’italia si trovano anche soggetti opachi, indifferen­ti alla verità, pronti a raccoglier­e qualunque materiale trovino sulla strada per stravolger­lo e piegarlo alla loro propaganda. Finisce così che gli europeisti italiani a volte tacciono, omettono, chiusi a riccio in una rappresent­azione molto tedesca delle scelte di Bruxelles per evitare che qualunque loro dubbio venga strumental­izzato.

C’è da capirlo, ma non è di questo che abbiamo bisogno per crescere. Gli italiani oggi sono pronti per un confronto aperto, adulto e soprattutt­o onesto sul nostro posto in Europa. Non l’abbiamo mai avuto. Non è tardi per provarci.

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