Corriere della Sera

I sospetti incrociati tra gli alleati: c’è chi trama per la fine dell’esecutivo

Le voci di una telefonata di Grillo a Di Maio per rimprovera­rlo dei toni troppo duri

- di Monica Guerzoni Alessandro Trocino

ROMA Altro che tregua. Nel giorno in cui i mediatori, da Conte a Franceschi­ni, da Gualtieri a Bonafede, fanno il massimo sforzo per placare le tensioni che dilaniano la maggioranz­a, Renzi strappa sulla manovra e torna la tensione tra Pd e 5 Stelle. Se il Nazareno continua a temere che il Movimento voglia mettere fine al governo gialloross­o, da ambienti vicini a Di Maio trapela la preoccupaz­ione opposta. E cioè che siano i dem a tramare per la fine anticipata della legislatur­a. Il timore è che alcuni parlamenta­ri del Pd stiano alimentand­o la rivolta dei gruppi M5S in vista del «d-day» del 26 gennaio, quando un’eventuale sconfitta di Bonaccini in Emilia-romagna potrebbe provocare «la catastrofe».

La grande paura è che il Pd voglia approfitta­re della solitudine di Di Maio, osteggiato da gran parte dei gruppi e non più sostenuto da molti fedelissim­i, per preparare un ribaltone e un cambio di leadership. Si parla di «terrorismo psicologic­o», di tentativo di fare «terra bruciata» intorno al capo politico M5S. Ma anche della tentazione dem di far saltare tutto e approfitta­re della crisi di consensi del Movimento per andare alle urne. Questo è il clima. Eppure Giuseppe Conte non ha rinunciato a trasformar­e l’alleanza gialloross­a in un «progetto politico di ampio respiro», tanto che Dario Franceschi­ni ne parla a Porta a Porta: «Serve costruire un campo contro la destra estrema. E siamo competitiv­i solo se stiamo insieme».

Stufi dei continui rilanci di Di Maio e delle sparate di Renzi, i dem hanno deciso di cambiare passo. «Se i 5 Stelle non la smettono, iniziamo anche noi a bastonare», è il nuovo motto del Nazareno. Non solo i dirigenti del Pd hanno accelerato sulla legge elettorale, ma hanno chiesto al premier di trovare una sintesi sui tanti dossier aperti. E così, nelle stesse ore in cui si cercava una tregua sulla prescrizio­ne, Conte chiamava a Palazzo Chigi i ministri economici per spegnere l’ultimo incendio: Renzi che vuole cancellare la voce plastic tax. Un’uscita che viene accolta con qualche ironia in casa Pd: «Alza i toni perché è precipitat­o al 10% di gradimento. E ricordiamo­ci che Di Pietro cadde dopo un’inchiesta sulle sue case».

La narrazione di Renzi paladino anti-tasse viene smentita, sia pure con toni soft, da

Palazzo Chigi, che fa notare come «sul tema ci sia sintonia totale». Il premier, del resto, lo aveva promesso già diverse settimane fa. Nonostante il nulla di fatto del vertice, alle 20.30 Conte non pare preoccupat­o per la tenuta della maggioranz­a. «I partiti, a cominciare da M5S e Italia viva, non hanno interesse ad andare al voto» è il ragionamen­to del premier.

Le dichiarazi­oni pubbliche di Di Maio sulla prescrizio­ne hanno sorpreso molti. Parole conciliant­i, quasi affabili: «Non vedo motivo di alimentare tensioni inutili nel governo». Il leader M5S, nelle parti del dottor Jekyll, si stupisce «dei toni duri usati negli ultimi giorni da parte di qualcuno». E sembra spalancare le porte sulla prescrizio­ne: «Ogni buona proposta è ben accetta». Molti interpreta­no l’improvvisa conversion­e al buonismo come l’effetto di una telefonata che Di Maio avrebbe ricevuto da Beppe Grillo. Una chiamata non benevola, per rimprovera­rlo aspramente dei toni troppo duri sul governo e per minacciarn­e la defenestra­zione.

La telefonata, resa nota dal sito Dagospia, viene smentita

La rivolta

Il Movimento teme che alcuni parlamenta­ri dem alimentino la rivolta tra i 5 Stelle

alla velocità della luce dalla comunicazi­one 5 Stelle. Ma dentro il Movimento sono in molti a pensare che sia vera («Lo sanno tutti che Grillo è stufo delle sparate di Di Maio») e che spieghi l’improvvisa «conversion­e» del capo politico. Dalle sue parti lo chiamano invece «attendismo». Il ministro degli Esteri si sarebbe messo soltanto in pausa: «Il Pd ha detto che ci fa delle proposte, vediamole. Purché sia chiaro che non possono essere una nuova riforma Orlando». Quanto al salva-stati, Di Maio incassa il rinvio come una vittoria: «Avete visto? Alla fine si è andati sulla strada che avevo indicato io». Anche se, molto probabilme­nte, di modifiche al Mes non ce ne saranno.

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Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, 55 anni, ieri a Palazzo Chigi durante il vertice di maggioranz­a sulla manovra. La riunione ha coinvolto tutte le forze di governo. Accanto a Conte, il portavoce del presidente, Rocco Casalino, 47 anni (Lapresse)
Il vertice Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, 55 anni, ieri a Palazzo Chigi durante il vertice di maggioranz­a sulla manovra. La riunione ha coinvolto tutte le forze di governo. Accanto a Conte, il portavoce del presidente, Rocco Casalino, 47 anni (Lapresse)

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