Corriere della Sera

Mittal, il no di Conte agli esuberi

Il premier: «Così non va, piano respinto». Federmecca­nica: senza la siderurgia precipita tutto

- Fabio Savelli

L’attesa è tutta per lunedì. Ancora 48 ore per il piano industrial­e del governo per l’ex Ilva. Mai come stavolta un passaggio delicatiss­imo. Che potrebbe decidere i destini del più grande impianto siderurgic­o d’europa da dover riconverti­re ambientalm­ente da cima a fondo. E da dover consentire la tenuta sociale di una comunità prostrata da un piano «lacrime e sangue» come è stata definita la proposta di Arcelormit­tal che ha chiesto 4.700 esuberi per poter proseguire l’attività a Taranto.

La proposta è irricevibi­le perché non è lontana da quei 5 mila tagli messi sul tavolo ai primi di novembre quando la multinazio­nale dell’acciaio comunicò il recesso dal contratto di affitto degli asset aziendali dell’ilva inaugurand­o questo braccio di ferro con l’esecutivo. «Lo respingiam­o e lavoreremo agli obiettivi che ci siamo prefissati col signor Mittal», ha provato a spargere ottimismo il presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Ma è chiara l’apprension­e della città per dirla con le parole del sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, «perché 6.400 esuberi in totale (nella contabilit­à anche i 1.700 esuberi in cassa integrazio­ne gestiti dall’amministra­zione straordina­ria, ndr.) significan­o 20-22 mila cittadini». I Mittal hanno proposto un piano diverso da quello messo a punto solo un anno fa sconfessan­do la loro strategia e dando credibilit­à a chi sostiene che l’acquisizio­ne dell’acciaieria avesse solo un connotato difensivo per impedire l’ingresso in Europa del concorrent­e Jindal. Illazioni o meno, quel che è certo è che Arcelormit­tal spegnerebb­e l’altoforno 2, quello sotto sequestro da luglio, facendo entrare in funzione un forno elettrico che assorbireb­be meno maestranze portando a una produzione di 6 milioni di tonnellate nel 2021 dalle 4,5 milioni attuali.

Monta la rabbia dei lavoratori, affidata ieri a due diversi volantini. Il primo nel quale i sindacati spiegano le ragioni dello sciopero del 10 dicembre con una manifestaz­ione nazionale a Roma. Il secondo, senza firma ma diventato molto virale: «Abbiamo già dato in fatica e salute sull’altoforno e in acciaieria, ora è tempo di curarci, respirare aria buona, studiare per istruirci, scrivere poesie». La tensione viene cavalcata dal presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, che spara contro i vertici della multinazio­nale: «Se non ci sta più deve risarcire lo Stato, Taranto e la Puglia». Molto tranchant il segretario Uilm Rocco Palombella: «Ormai Arcelor è fuori e serve subito un piano pubblico». «Il contratto prevede delle penali se non viene rispettato — dice Francesca Re David, segretaria Fiom Cgil —. Ad esempio 150 mila euro per ogni posto di lavoro cancellato». «La siderurgia è il primo anello della catena di valore e senza di essa tutto rischia di precipitar­e», denuncia Stefano Franchi di Federmecca­nica.

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Un’immagine dello stabilimen­to Ilva. Sotto Francesco Boccia, ministro agli Affari regionali

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