Ora il M5S tratta col Pd sulla prescrizione Bonafede: non voglio provocare una crisi
All’improvviso, ventiquattr’ore ROMA dopo aver accusato gli alleati del Pd di voler restaurare «la prescrizione ideata da Berlusconi», Luigi Di Maio si mostra dialogante: «Non vedo motivo di alimentare tensioni inutili all’interno del governo e non comprendo i toni duri usati negli ultimi giorni da parte di qualcuno». Dice proprio così, per incredibile che possa sembrare. E aggiunge, come se il giorno prima non si fosse guadagnato l’epiteto di «provocatore» dagli alleati: «Sulla prescrizione ogni buona proposta che punti a far pagare chi deve pagare, andando nella direzione auspicata dai Cinque stelle è ben accetta. Siamo al governo per fare le cose, e le cose si fanno insieme, non minacciando proposte individuali con l’unico fine di alimentare spaccature interne che fanno solo male al Paese».
Una retromarcia che i democratici attribuiscono a un intervento di Grillo in persona, o ai malumori crescenti tra i parlamentari grillini per una possibile rottura provocata dal loro capo politico. Ma qualunque ne sia la ragione, il cambio di rotta è bene accetto perché riapre la via del confronto che ieri mattina hanno provato a riannodare, in una lunga telefonata, il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede e il suo predecessore Andrea Orlando, vicesegretario del Pd. Il quale ha annunciato — informandone anche il premier Giuseppe Conte — che a breve il suo partito avanzerà una proposta per arrivare alla soluzione. «Basta con le stupidaggini — esorta Orlando riferendosi alle dichiarazioni di Matteo Salvini, ma anche ad alcune uscite degli alleati grillini —. Si può evitare il cortocircuito senza toccare la riforma Bonafede-bongiorno e intervenendo sul regime transitorio dei processi». L’esponente pd ha incontrato l’unione delle Camere penali che chiede di cancellare l’abolizione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, sapendo che quello è un obiettivo quasi impossibile (e non necessariamente condivisibile), che si può comunque bilanciare con alcune contromisure.
Prima ancora di Di Maio e Orlando, è Bonafede a ribadire: «Non voglio rompere con nessuno né provocare una crisi di governo, con il Pd si può lavorare bene su questi temi». Però non rinuncia alla sua battaglia di principio («È una conquista di civiltà che un cittadino possa avere la certezza di un verdetto definitivo dopo quello di primo grado») e boccia la controproposta pd sui tempi-limite dei processi, anziché dei reati: «Sarebbe un modo per far rientrare dalla finestra quello che noi abbiamo messo fuori dalla porta».
I dem non considerano chiusa la questione, e tra le ipotesi allo studio c’è l’inserimento nella legge delega sul processo penale di un comma che impegni il governo a individuare il modo per fissare tempi certi ai dibattimenti. Ma si immaginano anche altre strade. Come un ritocco alla riforma Orlando, entrata in vigore nel 2017, portando da un anno e mezzo a due anni la sospensione dei tempi di prescrizione dopo la prima sentenza, in modo da ridurre ancor più il rischio che i giudizi vadano in fumo, senza però il rischio del «fine processo mai». Quest’ultima soluzione sarebbe alternativa all’eliminazione della prescrizione che entrerà in vigore il 1° gennaio, mentre l’altra si accompagnerebbe alla riforma introdotta con la legge Spazzacorrotti. Bonafede e il suo partito dovrebbero poi decidere quale considerano più digeribile, sempre che mantengano la volontà di dialogare espressa ieri e non decidano di irrigidirsi nuovamente.
Il Pd confida in un intervento del premier e nella volontà dei Cinque Stelle di far prevalere l’interesse politico a mantenere salda l’alleanza di governo sulla tentazione di rompere pur di mostrarsi irremovibili su una questione divenuta identitaria. In assenza di segnali in questa direzione, resta la via di un disegno di legge autonomo da presentare entro dicembre, prima che la cancellazione della prescrizione diventi realtà.