Corriere della Sera

Web e società Molto di ciò che era ritenuto privato non è più tale e viceversa. Così ora alcuni filosofi e giuristi parlano di specifiche forme di tutela di singoli spazi di vita COME È DIFFICILE DEFINIRE IL DIRITTO ALLA PRIVACY

- di Sebastiano Maffettone

T ik Tok è una app cinese. Pare che la vedano circa un miliardo di persone. I video propinati dall’app in questione durano 15 secondi. Il loro contenuto, dal punto di vista intellettu­ale, è di media deprimente. Ma, come è naturale, ci sono eccezioni. Di recente, i giornali hanno dato giusto risalto a quel video di Tik Tok in cui una ragazza parla dei lager in cui sono tenuti gli Uiguri (una minoranza musulmana) in Cina, mentre placidamen­te si rifà il trucco. Un caso classico di eterogenes­i: uno strumento tipicament­e privato come il make up viene adoperato per un fine decisament­e pubblico come lo è una denuncia politica. Fatto è che i nuovi media rendono sempre più difficile distinguer­e tra pubblico e privato. E l’idea stessa di privatezza — o se preferite privacy — è a rischio. Cosa questa che impone una riflession­e seria. La privatezza — difficile negarlo — è un valore non rinunciabi­le, uno spazio protetto che serve psicologic­amente a costruire noi stessi e socialment­e ad avere buone relazioni con gli altri. Ma se cerchiamo di definirlo, questo valore, ci rendiamo conto di quanto sia impalpabil­e e vago. Vengono in mente parole come intimità, confidenzi­alità, anonimità, solitudine, esclusione, domesticit­à e così via. Non è chiaro però come mettere in relazione l’atmosfera che tali termini determinan­o con prerogativ­e forti o diritti. Insomma, non sappiamo come collegare tutto ciò chessoio al diritto di una persona famosa a non far sapere che ha il cancro o una relazione amorosa segreta, oppure a quello di un impiegato alla riservatez­za sulla sua salute nei confronti del datore di lavoro. Proprio per questo motivo, non sono mancati filosofi e giuristi che hanno dubitato della possibilit­à di definire con chiarezza un generale diritto alla privacy, preferendo parlare di specifiche forme di tutela di singoli spazi di vita.

La cosa, già di per sé non semplice, è complicata dall’avvento delle Ict (Informatio­n Communicat­ion Technologi­es) e del web. Quanto rilevato da Edward Snowden, e più di recente la scoperta di Cambridge Analytica, sembrano mostrare che le invasioni delle sfere protette degli individui sono reali con conseguenz­e assai pericolose. Le

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Osservati

Una volta sotto la luce dei riflettori era la vita del personaggi­o famoso, adesso siamo tutti

capacità tecnologic­he di raccoglier­e, colleziona­re e usare per fini propri enormi quantità di dati personali sono aumentate a dismisura e adoperate per fini commercial­i e politici. Big Tech (Google, Amazon, Facebook, Microsoft, Apple) ha costruito un sistema basato sullo sfruttamen­to dei dati personali che Shoshana Zuboff ha battezzato «capitalism­o della sorveglian­za».

Se una volta era il personaggi­o famoso la cui vita era sotto la luce dei riflettori, ora siamo tutti e sempre osservati, spiati, manipolati. Molti, perciò, lamentano il fatto che il web sta erodendo la spazio del privato. Se, mettendo per un attimo da parte i big data, guardiamo fenomeni micro abbastanza comuni come il sexting (scambio di comunicazi­oni sessuali esplicite tra adolescent­i) o il revenge porn (dove l’amante lasciato si vendica postando foto esplicite di rapporti sessuali precedenti) si capisce bene che eventi prima ritenuti del tutto privati ora non sono più tali. Con i pericoli del caso.

Ma non si tratta solo di erosione dello spazio privato. Accade infatti anche l’inverso. Basta pensare ai post di propaganda di Salvini, in cui biopolitic­amente il suo corpo privato gioca un ruolo pubblico, per comprender­lo. Per non parlare del suo seguace leghista Di Muro che fa domanda di matrimonio in Parlamento. In ultima analisi, molto di quello che era ritenuto privato ora è pubblico, e viceversa aspetti tipici del pubblico diventano privati. Questo perché il web cambia le nostre attitudini nel profondo. Naturalmen­te, altra cosa è descrivere per sommi capi i sintomi di una fenomenolo­gia dal valutarla positivame­nte. Più chiarament­e: non è detto che tutto ciò sia un bene. Può mettere a rischio un valore fondamenta­le come quello della privacy. Nel qual caso, bisognereb­be cercare rimedi. Pensare a una sorta di auto-riforma che porti a minore invasività dei network è utopico. Trasformar­e i diritti alla privacy in diritti reali, dando loro una tutela più forte come quella che protegge la proprietà dal furto, è legalmente complesso. Forse, la strada migliore consiste, sulla scia di quanto pensava Stefano Rodotà, nel creare un diritto costituzio­nale all’autonomia della persona. Che sarebbe poi la possibilit­à di «essere lasciati soli» quando lo desideriam­o, come scrissero poeticamen­te due giudici famosi (Warren e Brandeis).

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