Corriere della Sera

Dignità e coraggio furono la risposta all’attacco insidioso dell’eversione

- Di Giangiacom­o Schiavi

Le vittime della bomba, i poveri morti di piazza Fontana, sono rimasti via via schiacciat­i tra oblio, revisionis­mi, visioni di sinistra e versioni di destra. Nella Milano divisa anche sulle targhe alla memoria anno dopo anno rimbombava flebile la voce di qualche parente, sovrastata dalle notizie di scontri, di incidenti, di provocazio­ni neofascist­e, di cortei dei collettivi autonomi. Dietro lo striscione «Famiglie vittime, strage di piazza Fontana» i cronisti annotavano sempre qualche faccia nuova: dopo i figli, i nipoti. Quanta dignità, quanta gente per bene.

Cinquant’anni dopo, questi i fatti, questa la fatica della memoria, questa la difficoltà di rappresent­are in modo univoco una strage fascista, un momento tragico della nostra storia. Questo infine il rischio di lasciare alla politicizz­azione il compito della testimonia­nza. Si deve a due donne, alla loro dignità e al loro coraggio, il passo avanti verso un dolore condiviso, quello che anche Milano sente di più.

Licia Rognini Pinelli. Non ha mai chiesto compassion­e, aiuti; non ha mendicato favori. Ha sempre ringraziat­o con commozione, chiedendo quel che è un suo diritto: giustizia per suo marito, su quella mai chiarita tragedia che il magistrato Gerardo D’ambrosio definì un «probabile malore attivo».

Gemma Capra Calabresi. Ha dato valore a una storia umana, evitando la strumental­izzazione politica di chi voleva intestarsi la memoria del marito. Con discrezion­e, senza apparire, ha educato i suoi figli tenendoli lontani dall’odio e dalla vendetta.

Quando, il 9 maggio 2009, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano le ha invitate al Quirinale per il Giorno della memoria delle vittime del terrorismo, si sono date per la prima volta la mano. «Finalmente due famiglie si ritrovano» ha detto Gemma Calabresi. «Fingiamo che non siano passati tutti questi anni» ha risposto Licia Pinelli. «Con Piazza Fontana lo Stato democratic­o si porta addosso un grosso peso» ha commentato il presidente.

Piazza Fontana non è una tomba alla memoria, da vedere o da visitare. Così com’è,

La scena

In questa immagine il fotografo Fabrizio Garghetti ha fissato lo spettacolo terribile della Banca nazionale dell’agricoltur­a devastata dall’esplosione nel quotidiano viavai di una città in grande effervesce­nza, è un luogo di passaggio, uno snodo per i tram. «La nostra umanità deve andare oltre le ideologie» ha detto il sindaco Letizia Moratti alla vigilia di una commemoraz­ione. Dieci anni dopo, davanti al Comitato permanente antifascis­ta e ai famigliari c’era il sindaco Sala: «Sono fiero di essere qui, di fronte a questa piazza. Ma sento più di prima il dolore nei confronti dell’ingiustizi­a e ho il timore che si perda la memoria».

Dodici dicembre 2019. Milano ricorda. Commemora. Non dimentica. Il Comune, d’intesa con i famigliari, ha realizzato un’installazi­one intorno alla fontana di diciotto formelle, una riepilogat­iva e le altre con i nomi delle diciassett­e vittime. Risarcisco­no una lunga attesa. Magari cambierà l’immagine della piazza. Forse qualche pietra nella quale inciampare aiuterà i più giovani a ricordare una storia terribile, a non passare oltre, a interrogar­si su fascismo, terrorismo, connivenze politiche e servizi deviati, ma soprattutt­o a non perdere la memoria di quei morti civili, rimasti incisi per cinquant’anni su una lapide, quasi invisibile, oltre i binari del tram.

I parenti delle vittime con la loro presenza attenta e instancabi­le hanno dato a tutto il Paese un esempio di eccezional­e valore

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Il libro La strage di piazza Fontana esce domani in edicola con il «Corriere»

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