Corriere della Sera

UN GRANDE BAGNO DI VERITÀ

Movimenti Molti sono pronti ad applaudire ciò che si presenta come novità di successo (ora è la volta delle «sardine») ma solo con l’intento di conservare il vecchio

- di Ernesto Galli della Loggia

Da anni l’italia è in attesa di qualcosa di nuovo. Sono anni che aspettiamo qualcuno — un uomo, una donna, un’idea, un partito, un movimento, un governo — in grado di interrompe­re la girandola del nulla che è diventata la nostra vita politica e di resuscitar­e lo Stato in via di decomposiz­ione nel quale ci tocca vivere. Qualcuno che sia capace di decidere, di cambiare, di controllar­e, di sanzionare. Non con il manganello e l’olio di ricino, naturalmen­te: bensì con gli strumenti di una democrazia governante, che non ci siamo mai curati di apprestare, o che abbiamo lasciato andare in malora, o di cui ci siamo stupidamen­te spogliati.

L’attesa dura almeno dal 2011, dal naufragio del berlusconi­smo e dalla contempora­nea messa fuori gioco dell’opposizion­e decretata dal presidente Napolitano non sciogliend­o le Camere e negando dunque al Pd la possibilit­à di succedere elettoralm­ente al Cavaliere. Data da allora la ricerca di un Messia o in alternativ­a di un Movimento, di una Rottura sociale che ne facesse le veci. E così ci fu dapprima l’investimen­to fiducioso sul professor Monti, per sei mesi virtualmen­te padrone del Parlamento e del Paese. Poi, logoratosi Monti nell’implacabil­e routine del buropoliti­cismo italiano, ecco sorgere, impetuosi e anch’essi circondati da mille speranze, Beppe Grillo e i 5Stelle con il «Vaffa» e tutto il resto.

Folle, piazze piene, promessa di fare tabula rasa e di aprire tutto come «una scatoletta di tonno», e infine strepitoso successo elettorale nel 2013 bissato e migliorato cinque anni più tardi. Ma subito dopo, alla prova dei fatti, ecco il rapido consumarsi di ogni illusione nella dabbenaggi­ne e nel dilettanti­smo. Ma ecco, quasi in contempora­nea, un’ altra ondata di speranza e di entusiasmo per Matteo Renzi, antesignan­o di Mattia Santori in rappresent­anza della categoria «bel giovane che sa il fatto suo e non le manda a dire». Ancora una volta promesse di cambiament­i radicali, avanti con il merito e l’antiformal­ismo, con la rottamazio­ne di ogni passato, basta con la gerontocra­zia. E di nuovo a riempirsi non più le piazze ma i gazebo. Ma di nuovo però, com’è come non è, vuoi per i limiti del personaggi­o vuoi per qualcos’altro, anche stavolta è sopraggiun­to immancabil­e il disinnamor­amento generale. Sotto un altro, allora: le «Sardine», appunto. Anche per loro, come sempre, interesse alle stelle e media mobilitati. E anche per loro come già per Renzi e per i 5Stelle un mix di consenso da destra e da sinistra; anche nel caso loro, infine, come in quello dei grillini, il rifiuto virtuoso di essere un «partito», il rigetto esibito della politica lasciata sdegnosame­nte agli «altri».

Dirà il futuro se stavolta con le «Sardine» le cose andranno in modo diverso dalle volte precedenti. Personalme­nte ne dubito. Per due ragioni. La prima è che il consenso che accompagna puntualmen­te da anni la comparsa sulla scena italiana di personaggi o movimenti che si presentano come la novità salvifica del Paese, tale consenso, dicevo, ha in realtà molto di costruito, di ingannevol­mente artificial­e. Esso si spiega sì con l’attesa di un’opinione pubblica (specie di sinistra) sempre più preoccupat­a ed esasperata per la pochezza dei propri rappresent­anti, ma di sicuro ha moltissimo a che fare con l’attenzione sempre parossisti­ca e politicame­nte simpatetic­a che a tale comparsa riserva la stragrande maggioranz­a dei media. Sicché, non appena cessa l’effetto della novità,

Alternativ­a

Si preferisce cullarsi nelle buone intenzioni, manifestar­e in santa pace ed essere coccolati nei talk show televisivi

non appena finisce di andare in onda la milleduece­ntesima intervista televisiva, non appena comincia a sostituirs­i a tutto ciò la grigia realtà quotidiana che dà la vera misura dei protagonis­ti, allora gli entusiasmi inevitabil­mente si smorzano e rapidament­e subentrano la delusione e il crollo .

La seconda ragione che induce allo scetticism­o è ben più importante e riguarda per l’appunto la delusione appena detta. In effetti, al di là delle apparenze tutte le novità comparse negli ultimi anni non sono riuscite per nulla a segnare quella frattura con il passato necessaria per dare il segnale di un’autentica svolta e magari per iniziare a realizzarl­a. Perché, che cosa è mancato?

E’ mancata innanzi tutto la verità. L’italia ha bisogno che chi vuole governarla le dica la verità, le illustri la situazione in cui ci troviamo per quella che è. Cioè di un Paese che da ogni punto di vista sta perdendo colpi avviandosi se continua così a un declino storico. La quasi totalità dei nostri problemi — in certo senso anche molti dei problemi economici — si riducono sostanzial­mente a due, tra loro strettamen­te intrecciat­i. Da un lato abbiamo uno Stato paralizzat­o da un delirio di norme e regolament­i, incapace di fare, spesso inesistent­e, dall’altro un sistema dei poteri pubblici (parlamento, governo, magistratu­re) mal concepito dalla nostra Costituzio­ne, non in grado di decidere, sommamente inefficace. E’ qui che bisognereb­be agire avendo qualche idea. Cominciare a rifare lo Stato, rifare le sue amministra­zioni, i suoi uffici; dargli poteri effettivi di intervento, di controllo e di sanzione. E non esitare a dotarlo, dove occorre — per esempio contro il cancro della criminalit­à organizzat­a che si sta mangiando l’italia — anche di poteri straordina­ri. E insieme cambiare le regole che presiedono al funzioname­nto del parlamento, del governo, della giustizia.

Ma l’obbligo della verità di cui dicevo non finisce qui. Dovremmo anche riconoscer­e alcuni errori, a cominciare da quelli gravissimi commessi in tre ambiti chiave, anche questi tra loro intrecciat­i: la sanità, la scuola, l’ordinament­o regionale. Errori commessi a stragrande maggioranz­a e a nobili fini di riforma, ma che hanno dato risultati talora pessimi, spesso contraddit­tori, quasi sempre dai costi rovinosi.

La verità dunque, il coraggio di dire la verità parlando al Paese: questo è mancato e ho paura che mancherà anche al nuovo movimento che da ultimo sta raccoglien­do gli applausi delle piazze. Perché dire la verità implica fare i nomi , indicare con chiarezza gli interessi grandi ma anche minimi, i gruppi, le corporazio­ni, le burocrazie, le pratiche di massa e l’abitudine diffusa all’ illegalità, che traggono un quotidiano vantaggio dalla paralisi dello Stato prosperand­o sul declino del Paese. E poi alle parole far seguire i fatti. Il coraggio della verità manca soprattutt­o perché in fin dei conti la verità non piace per nulla anche a tanti dei sostenitor­i del nuovo. Ai molti, ai moltissimi, che sono pronti ad applaudire ciò che si presenta come una novità di successo ma solo con l’intento di montarci sopra per conservare ciò che è vecchio, ovvero che si affrettere­bbero a scendere non appena dovessero accorgersi che si fa sul serio. La verità, insomma, vuol dire il rischio dell’impopolari­tà: la quale — lo tengano a mente i nemici di Salvini — anche lessicalme­nte oltre che politicame­nte è il contrario vero del populismo.

L’italia è presa in questa alternativ­a diabolica: per salvarsi ha bisogno di un grande bagno di verità, ma anche il nuovo che da anni compare sulla sua scena preferisce non avventurar­si su questa strada perché teme di rompersi l’osso del collo. Come dargli torto? Molto meglio cullarsi nelle buone intenzioni, manifestar­e in santa pace contro i nemici del governo, ed ogni sera essere coccolati nei talk show televisivi.

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