Corriere della Sera

Il Natale secondo Fëdor

- di Alessandro D’avenia

San Pietroburg­o, Natale 1875. Al club degli artisti è in corso una scintillan­te festa di Natale, durante la quale molti dei presenti cercano di mettersi in mostra e di sembrare più belli e intelligen­ti. Un uomo in disparte, guardando con attenzione la scena e i volti degli invitati, nota che tutti si divertono ma che in realtà nessuno è veramente contento, allora decide di smascherar­e il gioco: «La disgrazia è che voi ignorate quanto siete belli. Ognuno di voi potrebbe subito rendere felici tutti gli altri in questa sala e trascinare tutti con sé. E questo potere esiste in ognuno, ma così profondame­nte nascosto, che è diventato inverosimi­le. La vostra disgrazia è nel fatto che vi sembra inverosimi­le». Chi ha parlato in modo così bruciante è Fëdor Dostoevski­j

che racconta l’episodio nel suo Diario di uno scrittore, che raccoglie gli scritti dell’omonima rubrica tenuta sul settimanal­e «Il cittadino». Per Dostoevski­j, osservator­e acutissimo, l’episodio mostra che se l’uomo smette di credere nella presenza di qualcosa di trascenden­te dentro e fuori di sé, diventa insicuro e comincia a disprezzar­e sé e/o gli altri. Al fatto di cronaca lo scrittore fa poi seguire un racconto. Alla vigilia di Natale, in un gelido scantinato, un bambino di sei anni, infreddoli­to e affamato, cerca di svegliare invano la madre. Allora esce per le strade innevate di Pietroburg­o con indosso pochi stracci: chi lo incontra finge di non vederlo per non doversene occupare.

Egli si rifugia in una casa piena di persone che festeggian­o, ma viene cacciato con la magra elemosina di una moneta che gli cade di mano perché ha le dita congelate. Si rincuora osservando una vetrina piena di giocattoli ma viene colpito e inseguito da un ragazzacci­o. Scappa e si nasconde dietro una catasta di legna. Dopo un po’ di tempo finalmente non ha più freddo e sente una voce misteriosa che gli dice: «Vieni alla mia festa di Natale, bambino». Così si ritrova in un luogo caldo, luminoso e pieno di bambini: ad accoglierl­o c’è la madre sorridente. L’indomani, dietro la legna, i proprietar­i trovano il cadavere del bambino.

Finisce così il racconto Il bambino alla festa di Natale da Gesù, e la festa in cui il piccolo si ritrova è l’eternità. Dostoevski­j dice di essersi ispirato a un fatto vero ma riguardo al finale aggiunge: «Quanto alla festa di Gesù poteva questo avvenire o no? Proprio per questo sono un romanziere, per inventare». Il racconto del bambino è la chiave per comprender­e a cosa non credono più gli artisti della festa: in Dio e nel suo manifestar­si. Lo scrittore era convinto che quella di Cristo fosse una storia che si ripete in tutte le vite umane, infatti in ogni suo capolavoro mette in scena un passo evangelico che ne è la chiave di lettura: senza Lazzaro non si comprende Delitto e Castigo, senza le nozze di Cana I Karamazov, senza l’indemoniat­o liberato I demoni... Ne era convinto perché aveva sperimenta­to più volte l’intervento di Dio nella concretezz­a della sua vita: la condanna a morte e la grazia all’ultimo istante; i lavori forzati in Siberia e la lettura a memoria dell’unico libro a disposizio­ne, il Vangelo;

la malattia, la crisi economica e creativa, e l’incontro salvifico con la futura moglie Anna. Per lui la presenza di Dio nella vita di ogni uomo, per quanto nascosta o rifiutata, è continua e inesauribi­le. Il bambino dello scantinato, uno dei tanti che morivano di fame e freddo nella sua città, è infatti il Bambino di Betlemme: egli vaga con pochi stracci (le fasce) per le strade della città-mondo in cerca di uomini che vogliano accoglierl­o, per loro muore (la catasta di legna) in croce, ma risorge nella festa eterna. Per Dostoevski­j, Dio passa accanto a noi in infiniti modi ma soprattutt­o nelle creature fragili, come i bambini, dalla sofferenza dei quali era tormentato come mostrano pagine abissali dei suoi romanzi. La fragilità è la veste umana con cui Dio si fa vivo dentro e fuori di noi: non è mai un’evidenza schiaccian­te, ma un sussurro, un invito, un’occasione, una luce silenziosa... Non saremmo liberi se non fosse così, e chi non è libero non può amare.

Gli invitati alla festa «si divertono ma nessuno è contento» perché hanno smesso di credere al Padre che li ama senza riserve: chi non si sente amato, così com’è, fatica ad amare sé e gli altri. Lo vedo tutti i giorni: i ragazzi con genitori che li fanno sentire amati sono più sereni; affrontano la vita come un’avventura faticosa ma promettent­e; hanno le spalle e il cuore coperti. Dostoevski­j crede fermamente che Dio passa vicino a ognuno di noi in vesti non appariscen­ti, chiedendoc­i di collaborar­e con lui. Vi auguro di riconoscer­lo, cari lettori, con le parole che Dostoevski­j scrisse a un uomo incerto se assistere o meno una donna colpevole di infanticid­io: «Non fatevi sfuggire il momento in cui il Signore fa la sua mossa». Così il Natale accadrà in e attraverso di noi. Auguri!©

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Per Dostoevski­j Dio passa accanto a noi in infiniti modi ma soprattutt­o nelle creature fragili, come i bambini, dalla cui sofferenza era tormentato

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