Corriere della Sera

GAVINO SANNA

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un’agenzia di marketing cercava collaborat­ori e passai alla Lintas. Creammo l’uomo in ammollo di Franco Cerri. Il copy nel frattempo se n’era andato alla Mc Cann Erickson e poco dopo mi chiamò con sé. Lui era Massimo Magrì e divenne un bravo regista. Avevamo commesse di Gillette, Esso, Motta. Ci arrivavano le “pizze” americane: ero affascinat­o. Non ci misi molto a decidere: mollai il posto e volai a New York».

Come andò?

«Prima di tutto mi iscrissi a un corso di inglese. Dormivo nel ricovero dei ragazzi cattolici. Intanto un grafico romano che aveva lavorato a Cuba ed era diventato il pittore della Rivoluzion­e mi fece incontrare il titolare di una piccola agenzia: John Paul Itta, origini greche. Gli portai i miei disegni. Mi assunse e cominciò un periodo magnifico. Conobbi Patricia, una bellissima hostess della Pan-am nata a Memphis: divenne mia moglie. Grazie a lei ottenni un colloquio con il direttore della Mc Cann. Mi assegnò la campagna per Tampax e subito dopo quella per la famosa birra Miller. Tra i nostri clienti c’erano la Coca Cola e il governo Usa. Strinsi la mano a Richard Nixon: non mi fece una grande impression­e».

Il passo successivo?

«Entrai nel tempio della creatività internazio­nale, Scali Mccabe & Sloves. Avanti paisà, mi disse Sam Scali, il capo. Mi consegnaro­no il budget per Revlon. Lavorai con Richard Avedon, il grande fotografo, e Lauren Hutton, l’attrice di American Gigolò. Facemmo insieme un’indimentic­abile campagna per i prodotti di bellezza. Lei nuda, e la crema: incantevol­e».

Come nasce la pettinatur­a a caschetto?

«Da bambino avevo un taglio alla tedesca. Ma, per eredità di famiglia, ho le orecchie come Dumbo, perciò le copro con i capelli. In Usa li tenevo fino a mezza schiena. Mi scambiavan­o per un apache: di che tribù sei, Gavino?».

I suoi incontri: Frank Sinatra, Elvis Presley, Paul Newman, Catherine Deneuve, Luciano Pavarotti, Sophia Loren, Alain Delon, Christian Barnard. E poi lui, Andy Warhol.

«Appena arrivato seguivo le sue lezioni sul cinema. Raccontava di sé, spiegava come aveva girato Sleep, un anti-film in cui John Giorno dorme per 5 ore e 20 minuti. Il suo studio era un covo di gente bizzarra. Girava sporco di vernice, con la Polaroid in mano. Aveva una collezione di parrucche: la preferita era rosa. Un rivoluzion­ario. Attaccatis­simo alla madre. Diceva: gli italiani mi sono simpatici, hanno sempre la patta sdrucita perché continuano a toccarsi lì. Lo incontravo spesso al Club 54, se

Chi è

● Gavino Sanna, 79 anni, nato a Porto Torres (Sassari), è un pubblicita­rio tra i più importanti al mondo

● Dopo essersi diplomato all’istituto d’arte « Figari» di Sassari e aver lavorato alcuni anni presso alcune agenzie italiane, si è trasferito a New York dove è diventato il «creativo» di colossi come «Mc Cann» e «Scali Mccabe & Sloves»

● È rientrato in Italia dopo l’offerta dell’agenzia «Benton and Bowles» che voleva aprire una sede a Milano

● Dal 2004, dopo aver venduto la propria attività, è diventato un viticoltor­e in Sardegna duto in un angolo con Truman Capote».

Perché, al culmine del successo, è tornato in Italia?

«Un’agenzia internazio­nale, Benton and Bowles, voleva aprire una sede in Italia e mi fece un’offerta irrinuncia­bile. Davanti a me si stendeva la Milano da bere. Avevo appena divorziato. Il mio matrimonio era stato seppellito dalla crisi del settimo anno. Decisi che avrei rivoluzion­ato il linguaggio della pubblicità e per questo mi feci molti nemici. Una mano me la diede anche Berlusconi, che con le sue tv stava cambiando le regole della comunicazi­one pubblicita­ria. Arrivarono clienti come Barilla, Giovanni Rana, Fiat, Simmenthal».

Già: il cliente Barilla.

«Andai a Parma a conoscere Pietro e i figli. Lui mi portò in un piccolo ufficio. Mi disse: vede, questo non è solo il marchio della pasta, ma il nome della mia famiglia, ne tenga conto. È stato il brief più bello della mia carriera. Proposi un film di 90 secondi. Un distinto signore dalla stazione centrale di Milano viaggia per tornare in famiglia. In tavola trova pacchi di pasta. Dove c’è Barilla c’è casa, lo slogan. Tutto sbagliato, mi sgridò Pietro. Una settimana dopo si scusò: Gavino, è un capolavoro».

Motivo?

«Barilla faceva le vacanze a Cortina e il suo migliore amico era Indro Montanelli. Che un giorno lo incontrò: ho visto il tuo spot, caro Pietro, è davvero bellissimo. Arrivò la bambina che torna a casa con il gattino e mette il fusillo in tasca a papà. Fioccarono i premi».

Con Berlusconi ha lavorato a lungo.

«L’ho conosciuto al rientro in Italia. Mi invitò al Gallia per una tavola rotonda. Vedevo che mi fissava da lontano. Mi raccontò: quando ero giovane portavo i capelli come i suoi, poi li ho tagliati e la mia vita è cambiata. Mi dia retta: li tagli anche lei. Se lo fa, ci daremo del tu. È diventato il titolo di uno dei miei libri».

Com’è arrivato a essere viticoltor­e?

«Un bel giorno, qualche anno fa, mi stavo facendo la barba. Chiamo Lella, mia moglie, e le dico: oggi sento i miei partner americani e vendo tutto. Detto, fatto. Il vino è la mia attività dal 2004. Pensi che nella mia famiglia nessuno beveva. E io sono astemio. Tutto da solo, ho disegnato la bottiglia, il logo e ideato gli slogan per il lancio, un vero atto d’amore per la Sardegna. Così, nel Sulcis, è nata Cantina Mesa».

Come si definirebb­e?

«Gavino, che si diverte come un bambino a fare le caricature».

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