IL MESSAGGIO CATTOLICO TRA PASSATO E CAMBIAMENTO
Natale, per i cristiani, è messaggio di speranza: che dal riconoscimento del «piccolo Gesù» si liberi una forza di rinnovamento per i singoli e la società. Papa Francesco ha proposto alla Curia per Natale uno sguardo sul futuro. Ha espresso una «visione» che ha per sfondo una sua classica idea: l’oggi «non è semplicemente un’epoca di cambiamenti, ma un cambiamento d’epoca». Che deve fare la Chiesa? Nella crisi sovietica, il patriarca russo Alessio I affermò: «Che la nostra immutabilità, impossibilità di conformarsi allo spirito del tempo, sia simbolo dell’eternità della Chiesa».
Non è la linea della Chiesa cattolica, che vive — cambiando — i mutamenti del mondo, salda nella tradizione. È una scelta complessa: specie in tempi globali di parcellizzazione dei soggetti e di protagonismi. Scelta per cui è necessaria una cultura capace di leggere i tempi. Il Papa, due anni fa, osservò: «non disponiamo ancora della cultura necessaria per affrontare questa crisi e c’è bisogno di costruire leadership che ci indichino le strade». Ora nel discorso di Natale, legge l’odierna geografia cristiana, non più divisa tra terre cristiane e terre da evangelizzare: «non siamo più nella cristianità, non più!». Queste, nel Novecento, sembravano «eresie», quando teologi — come il domenicano Chenu — scrivevano di fine della cristianità. Il che non porta oggi a ritirarsi in piccole cristianità, chiuse e certe, nel grande caos del tempo.
Francesco, innanzi alla complessità globale, riafferma
Francesco
Il gradualismo è la grande lezione se si accompagna alla tenacia
il primato della comunicazione del Vangelo, che va dall’evangelii nuntiandi di Paolo VI fino all’evangelii gaudium, testo chiave del suo pontificato, verso cui ci sono state le maggiori resistenze specie attraverso inerzie. La «conversione pastorale», che il Papa chiede, è una Chiesa tutta in missione. Essa guarda alle «enormi concentrazioni urbane», figlie del mondo globale, talvolta lontane dalla fede cristiana anche in paesi cosiddetti cristiani. Da questa lettura, viene la più innovativa riforma curiale di Francesco: la fusione dell’antica Congregazione
de Propaganda Fide, nata nel 1622 per la missione in terre non cristiane (allora sottratta al controllo delle potenze cattoliche) con il dicastero della nuova evangelizzazione. Tutto il mondo è terra di missione: «l’umanità chiama, interpella e provoca, cioè chiama a uscire fuori e a non temere il cambiamento».
Eppure oggi si parla di grave crisi della Chiesa e in alcuni paesi quasi di fine. Uno storico ha scritto che il «cristianesimo che sta per morire». Quale futuro e quale missione allora? Per Francesco un mondo è finito ma ne nasce uno diverso. Non è la fine della Chiesa, ma l’inizio di una sua rinnovata missione. Non si percepisce nel messaggio del Papa un pontificato stanco di un papa anziano, gravato dai problemi della Curia, ma si coglie una visione che, tra difficoltà e conflitti, sembra oggi più chiara. Francesco insiste sul gradualismo montiniano, contrapponendolo al ripiegamento sul passato o alla rigidità. Cita Newman: «qui sulla terra vivere è cambiare…». Ma non il cambiamento per il cambiamento.
In questo discorso, l’eredità di Paolo VI appare forte: non fosse — a ben leggere — per il rinvio al discorso di Montini del 1958 in cui ammoniva di non considerare l’italia paese saldamente cattolico o alla sfida della missione di Parigi, raccolta dal cardinale Suhard di Parigi, cui Montini era molto sensibile. Francesco parla di «processi» da avviare, ma forse il gradualismo è la grande lezione, se si accompagna alla tenacia. Insomma una «tensione tra un passato glorioso e un futuro creativo e in movimento», da cui scaturisce il presente che non è crepuscolo.
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