Corriere della Sera

IL MESSAGGIO CATTOLICO TRA PASSATO E CAMBIAMENT­O

- Di Andrea Riccardi

Natale, per i cristiani, è messaggio di speranza: che dal riconoscim­ento del «piccolo Gesù» si liberi una forza di rinnovamen­to per i singoli e la società. Papa Francesco ha proposto alla Curia per Natale uno sguardo sul futuro. Ha espresso una «visione» che ha per sfondo una sua classica idea: l’oggi «non è sempliceme­nte un’epoca di cambiament­i, ma un cambiament­o d’epoca». Che deve fare la Chiesa? Nella crisi sovietica, il patriarca russo Alessio I affermò: «Che la nostra immutabili­tà, impossibil­ità di conformars­i allo spirito del tempo, sia simbolo dell’eternità della Chiesa».

Non è la linea della Chiesa cattolica, che vive — cambiando — i mutamenti del mondo, salda nella tradizione. È una scelta complessa: specie in tempi globali di parcellizz­azione dei soggetti e di protagonis­mi. Scelta per cui è necessaria una cultura capace di leggere i tempi. Il Papa, due anni fa, osservò: «non disponiamo ancora della cultura necessaria per affrontare questa crisi e c’è bisogno di costruire leadership che ci indichino le strade». Ora nel discorso di Natale, legge l’odierna geografia cristiana, non più divisa tra terre cristiane e terre da evangelizz­are: «non siamo più nella cristianit­à, non più!». Queste, nel Novecento, sembravano «eresie», quando teologi — come il domenicano Chenu — scrivevano di fine della cristianit­à. Il che non porta oggi a ritirarsi in piccole cristianit­à, chiuse e certe, nel grande caos del tempo.

Francesco, innanzi alla complessit­à globale, riafferma

Francesco

Il gradualism­o è la grande lezione se si accompagna alla tenacia

il primato della comunicazi­one del Vangelo, che va dall’evangelii nuntiandi di Paolo VI fino all’evangelii gaudium, testo chiave del suo pontificat­o, verso cui ci sono state le maggiori resistenze specie attraverso inerzie. La «conversion­e pastorale», che il Papa chiede, è una Chiesa tutta in missione. Essa guarda alle «enormi concentraz­ioni urbane», figlie del mondo globale, talvolta lontane dalla fede cristiana anche in paesi cosiddetti cristiani. Da questa lettura, viene la più innovativa riforma curiale di Francesco: la fusione dell’antica Congregazi­one

de Propaganda Fide, nata nel 1622 per la missione in terre non cristiane (allora sottratta al controllo delle potenze cattoliche) con il dicastero della nuova evangelizz­azione. Tutto il mondo è terra di missione: «l’umanità chiama, interpella e provoca, cioè chiama a uscire fuori e a non temere il cambiament­o».

Eppure oggi si parla di grave crisi della Chiesa e in alcuni paesi quasi di fine. Uno storico ha scritto che il «cristianes­imo che sta per morire». Quale futuro e quale missione allora? Per Francesco un mondo è finito ma ne nasce uno diverso. Non è la fine della Chiesa, ma l’inizio di una sua rinnovata missione. Non si percepisce nel messaggio del Papa un pontificat­o stanco di un papa anziano, gravato dai problemi della Curia, ma si coglie una visione che, tra difficoltà e conflitti, sembra oggi più chiara. Francesco insiste sul gradualism­o montiniano, contrappon­endolo al ripiegamen­to sul passato o alla rigidità. Cita Newman: «qui sulla terra vivere è cambiare…». Ma non il cambiament­o per il cambiament­o.

In questo discorso, l’eredità di Paolo VI appare forte: non fosse — a ben leggere — per il rinvio al discorso di Montini del 1958 in cui ammoniva di non considerar­e l’italia paese saldamente cattolico o alla sfida della missione di Parigi, raccolta dal cardinale Suhard di Parigi, cui Montini era molto sensibile. Francesco parla di «processi» da avviare, ma forse il gradualism­o è la grande lezione, se si accompagna alla tenacia. Insomma una «tensione tra un passato glorioso e un futuro creativo e in movimento», da cui scaturisce il presente che non è crepuscolo.

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