Un neonato dona speranza ai miseri e agli offesi
Vangeli Un testo di Erri De Luca commenta la mostra della Natività realizzata presso la Galleria Mazzoli di Modena Il presepe cubista di Marcello Jori
Il presepe, ‘o presepe, non è entrato nella mia infanzia napoletana. A casa si addobbava lo spaesato abete e nient’altro, neanche la Befana. È successo che poi ci sono entrato io dentro il presepe, non da statuetta venduta in via San Gregorio Armeno, ma da intruso, lettore di scritture sacre. Mio solo movente: intenderle alla lettera.
Per esempio nessun evangelista scrive che Giuseppe/iosef è vecchio. Perciò lo leggo giovane e innamorato della sua promessa sposa fino al sacrificio della reputazione. Conferma le nozze con la ragazza incinta non di lui, salvandola così dai sassi della legge, per la quale è un’adultera flagrante. Pena sarebbe la lapidazione, la prima pietra spetterebbe a Giuseppe, il più innamorato del mondo, eroe di questa storia.
Poi conferma il suo gesto inaudito segnando a proprio nome nell’anagrafe ebraica il figlio di Maria/miriam. Si legge proprio questo nella prima pagina del libro di Matteo, nell’elenco di nomi che scendono da Abramo, passano per Davide, arrivano a Giuseppe/iosef. Lui sta piantato di diritto in quell’elenco genealogico, diretto discendente. Lui costringe il registro a mettere quel figlio a nome suo. Gesù/ieshu sta in quella lista perché c’è l’ha messo quell’uomo che dichiara davanti al mondo di essere suo padre.
È una famiglia unica e rara allora e Giuseppe/iosef ne è il capitano coraggioso.
Da lettore leggo il presepe di Marcello Jori. Dovrei dire guardo, ma sono e resto lettore anche dove non ci sono sillabe, frasi, pagine. Leggo un angelo che si butta a capofitto attraversando i cieli sopra un neonato appena scodellato sopra il piatto del mondo. È pane: così dirà di sé. È manna, perché nutrirà i molti. Per di più il villaggio di nascita si chiama Bet Lèhem, Casa di Pane.
Nasce in Giudea, regione meridionale di quella terra. Per luogo e atto di nascita Gesù/ieshu è del Sud. Però è stato messo nel grembo di una ragazza del Nord, di Galilea. Il neonato se ne sta sdraiato a faccia in su mentre l’angelo scende a controllare l’esito favorevole del suo annuncio azzardato. Protende la mano e anche il neonato alza la sua, forse si toccheranno, per verificarsi uno con l’altro.
Non piange, anche se non è preso in braccio dalla ragazza che l’ha partorito. Fin dall’inizio è nuovo. Piangerà da adulto, per una sola volta, alla vista di Gerusalemme. È solamente il libro di Luca a riferirlo. Per gli altri evangelisti non ha pianto mai.
Il pittore immagina un paesaggio montuoso di formula cubista dove i piani si accatastano in forme indipendenti dai personaggi messi in primo piano. Perché l’essere umano sulla terra è una sovrimpressione. Qui è in veste tirolese, omaggio affettuoso del pittore ai suoi luoghi.
Cubista sarà la lettura e il commento successivo degli avvenimenti, un sovrapporsi di piani e di interpretazioni, un cubismo teologico. L’istituzione cercherà di addomesticare e differire lo scandaloso annuncio delle beatitudini dove l’offeso e il misero precederanno chiunque altro nell’avvento di un mondo sottosopra.
Asino e bue accudiscono, fanno la stalla tiepida nel paesaggio invernale e i colori rispondono al tepore. Appena fuori la stella già
Giuseppe/iosef è un capitano coraggioso che si sacrifica per amore
denuncia l’ora e il luogo, prima ai tre pellegrini, poi di rimbalzo all’autorità regia. La cometa, presagio funesto dell’epoca antica, già anticipa la caccia infanticida scatenata dal re che vede ovunque segni di usurpatori e ha già tolto di mezzo i propri figli. Presto sarà urgente la fuga dalla strage, l’esilio in un paese che ha nella sua storia l’accoglienza e l’asilo a chi bussa da profugo.
La pittura di Jori ha il tremito leggero che si addice a chi conosce il seguito eppure spera, chiede che non avvenga Golgota, che possa dileguarsi senza sgomentare la scia della cometa.
I tre indovini astronomi, venuti dalle piste di Oriente, cercano la dimora adatta al compimento del presagio che li ha messi in viaggio. Né reggia, né palazzo: una stalla è l’indirizzo imprevisto, ma infallibile. Depositano i doni e si dileguano alla maniera dei fantasmi all’alba. Solo Matteo li narra, comparse senza nomi, che sono stati inutilmente aggiunti a fare un trio di nomi con sei erre.
Il presepe di Jori per comodità di lettura è dislocato in spazi, invece la sua narrazione appartiene al tempo, che ne rinnova l’allestimento anno per anno. Quello che avvolge questo presepe non è un’atmosfera, ma il doppio millennio di una storia che si sporge sul vuoto di un’attesa. Il Cristianesimo è l’annuncio di una seconda visita.
Non si precisa il luogo, intanto qui si sta alla periferia di un villaggio di Giudea, all’ora zero di un calendario nuovo, inaugurato da un neonato prescritto.