I personaggi in crisi d’identità nell’universo dei videogiochi
Scambio di ruoli tra i protagonisti del mondo virtuale: puro divertimento
Il titolo spiega le ambizioni. Jumanji – The Next Level e cioè un ulteriore livello del gioco inventato dal romanziere Chris Van Allsburg nel 1981, diventato film nel 1995 (Jumanji) e ritornato sugli schermi nel 2017 (Jumanji – Benvenuti nella giungla) con nuove e più «moderne» caratteristiche, pensate per il popolo dei videogiochi-dipendenti, a cui regalava citazioni e immedesimazioni.
Scommessa vinta, con incassi stellari tali da giustificare il nuovo appuntamento. Più o meno lo stesso cast, più o meno lo stesso meccanismo: per salvare Spencer (Alex Wolff), che frustrato nella vita reale non ha trovato di meglio che farsi risucchiare dal magico gioco Jumanji, gli amici Fridge (Ser’darius Blain) e Martha (Morgan Turner) decidono di seguirlo nell’universo virtuale. Non riesce a farlo l’altra ragazza del quartetto, Bethany (Madison Iseman), ma in compenso vengono risucchiati anche lo scorbutico zietto di Spencer, Eddie (Danny Devito) e il suo ex socio Milo (Danny Glover). A cambiare le carte in tavola e a regalare qualche nuovo sussulto, questa volta sarà una più decisa e casuale variazione antipodale per gli avatar dentro cui si incarnano gli umani finiti nel videogioco: Martha resta sempre la killer acrobata Ruby Roundhouse (Karen Gillian), ma l’atletico Fringe finisce nel corpo extralarge del paleontologo Sheldon Oberon (Jack Black), mentre Eddie e Milo si ritrovano rispettivamente nei corpi del forzuto archeologo Smolder Bravestone (Dwayne Johnson) e in quello dello zoologo linguista Franklin Finbar (Kevin Hart).
Un cambio di identità che naturalmente serve agli scesono neggiatori Jeff Pinkner e Scott Rosenberg (affiancati dal regista Jake Kasdan) per conquistare qualche sorriso con i contrasti tra caratteri e fisici: potete immaginare come si comporterà l’irascibile Devito dentro ai muscoli di Dwayne Johnson o lo scattante Blain dentro il corpo sovrappeso di Jack Black.
Ma queste variazioni forse nascondono un altro possibile messaggio, più o meno subliminale. E cioè che non ci sono limiti di età per giocare ai videogiochi se anche due «vecchietti» come Devito e Glover possono diventare qualcun altro solo che accettino di farsi «risucchiare» dentro la logica del gioco. Non ci obblighi anagrafici per divertirsi con la consolle, sembra dirci il film. Basta lasciarsi andare…
Con questa logica, tutto il film assume nuove sfumature (parlare di contenuti mi sembra francamente eccessivo, visto il livello piuttosto elementare del tutto) e questa terza puntata di Jumanji finisce per assomigliare più a una gigantesca operazione di product placement (volgarmente: pubblicità mascherata) a favore di un allargamento delle barriere anagrafiche dei videogiochi. Non più solo per adolescenti più o meno nerd (come in effetti è rappresentato l’iniziatore del gioco, Spencer, solitario al college e insicuro del suo rapporto con Martha), ma per «tutta la famiglia», visto anche gli oversixty possono prendervi parte. E non solo divertirsi ma avere addirittura un ruolo fondamentale per la vittoria finale.
L’altra, sotterranea variazione, è l’abbandono di qualsiasi ambizione «formativa». Il gioco non serve più come «prova iniziatica» per poter diventare adulti (come era nelle intenzioni originali del romanzo e anche nel primo film) ma è puro divertimento per tutti, dove importa solo l’abilità con cui si superano i vari livelli del gioco: prima quello del deserto con la carica degli struzzi, poi quello dell’oasi - dove ritroviamo Spencer, ma nei panni della ladra Ming (Awkwafina) – poi nell’espugnare il castello del signore della guerra Jurgen il Bruto (Rory Mccann) per recuperare la magica collana Cuore di Falco.
E mentre l’azione si svolge dentro ambienti che rimandano direttamente a celebri videogiochi (l’oasi è uguale a The Witcher, l’avvicinamento alla fortezza di Jurgen sembra preso da Red Dead Redempion. E io sono un dilettante: chissà quanti altri riferimenti mi sono perso), mentre l’avventura avanza, ritroviamo anche Bethany dentro l’avatar di un nero cavallo alato. Vogliono dirci che quei giochi fanno volare sulle ali dell’avventura? Non credeteci, per carità!
Il terzo episodio della saga sembra una gigantesca operazione di pubblicità con un messaggio: i videogame non sono solo per adolescenti