Gli scrittori del «Romanzo italiano» e la scoperta di un’identità
L’ idea di fondo di Romanzo italiano, da un’idea di Camilla Baresani e Paolo Giaccio, condotto da Annalena Benini, è di raccogliere le testimonianze di una trentina di scrittori per esplorare quanto il territorio in cui vivono o hanno vissuto sia stato significativo nella costruzione della loro identità di narratori (Rai3, sabato, ore 18.05).
Un tempo, quando qualcuno aveva arrischiato un tentativo simile (Luigi Silori, sul finire degli anni 50), si diceva che la tv ricercasse il «posto delle fragole», ovvero il luogo dell’ispirazione primaria: il natio borgo selvaggio, una strada, un edificio e ogni altra possibile coloritura che ci potesse far partecipi dell’attimo supremo in cui la realtà quotidiana si trasfigura in letteratura. Del resto, il sogno di ogni scrittore è quello di riscattare con una lingua abbagliante momenti di vita personale destinati all’oblio o invisibili ad altri.
La prima puntata era ambientata in Campania: a Bagnoli, in un circolo dell’ex Ilva, per incontrare Valeria Parrella; a Caserta per passeggiare nei Giardini della Flora con Francesco Piccolo o per scoprire, con Antonio Pascale, che la mozzarella non va conservata in frigo; a Salerno, nella «città distratta» di Diego De Silva per raccogliere la perla della puntata: «La scrittura viene da un disagio, da un rapporto guasto con il mondo che cerchiamo di colmare attraverso la parola». La Benini è molto brava a entrare in sintonia con il proprio interlocutore, a trovare le chiavi d’ingresso per carpirgli piccoli segreti, per suscitare ricordi e riflessioni.
Curiosamente i quattro scrittori campani pubblicano tutti da Einaudi, e si percepisce un po’ quell’aria da stile libero, da miti a bassa intensità. L’impressione è che in Italia ci siano scrittori che, almeno in apparenza, si sostengono fra di loro, si recensiscono, formano una salda comunità tra pari. E la Benini cerca di riconoscere quel fuoco che li anima dentro.