«Ora referendum sul voto»
Il vice di Salvini: è come ai tempi dei referendum di Segni Noi freddi con Meloni? È molto aggressiva, anche con FI
«Se lo ricorda il referendum di Mario Segni del 1991? Ecco, siamo in una situazione simile a quella di allora. Per questo spero che la Corte costituzionale consenta agli italiani di esprimersi in modo netto». Giancarlo Giorgetti, il vice segretario della Lega, cammina avanti e indietro per il Transatlantico: «Perché cambiare, da qui, non si riesce».
Era meglio quando c’era il pentapartito C’erano delle regole, esisteva un metodo Adesso il sistema produce solo non decisioni Abbiamo fatto il congresso perché c’era il bisogno di aggiornarsi Con le regole di 40 anni fa non si poteva proseguire Bossi è un vecchio leone che nonostante i problemi fisici conduce la battaglia fino alla fine Non ha mai avuto paura Figuriamoci adesso...
Parla del referendum leghista per cambiare la legge elettorale?
«Certo. La crisi di sistema è ormai davanti agli occhi di tutti, i governi nascono con l’obiettivo dichiarato di impedire di governare a chi prende più voti. E pazienza se di fronte abbiamo questioni cruciali».
Ma perché questo momento le ricorda quegli anni? Dove vede il pentapartito?
«Infatti, allora era meglio, c’erano i partiti e c’erano delle regole, esisteva un metodo. Un pentapartito senza partiti e regole produce solo vertici notturni e non decisioni. Ma l’italia non può permetterselo».
La manovra però è arrivata in porto.
«Ecco, la manovra è un buon esempio di quello che dicevo. Una manovra strettamente blindata, che il Parlamento non ha potuto discutere e fatta di emendamenti monstre. Peraltro, se la manovra è uno strumento di indirizzo, qui non c’è nessuna manovra. C’è quello che hanno chiesto da Bruxelles applicato con il pilota automatico, nulla di attivo o proattivo per l’economia italiana».
Scongiurare le clausole di salvaguardia non era comunque scontato.
«Beh, ma l’aveva fatto anche il governo precedente. Tra l’altro, vedo che qualcuno fa confusione, ma le clausole sono arrivate con il governo Gentiloni».
Perché dice che dal Parlamento è impossibile cambiare il sistema?
«Basta vedere. Si ricorda quando la Corte costituzionale disse al Parlamento di fare la legge sul fine vita? Lei la legge l’ha vista? Per questo spero sia la Corte a consentire che si esprima il popolo. Poi, magari, il popolo sceglierà il sistema dei partitini, quello in cui a governare sono i perdenti. La Corte costituzionale dovrà decidere se guardare al futuro o al passato, per questo la data del 16 gennaio è da cerchiare in rosso».
Il referendum per il taglio dei parlamentari ha raccolto le firme necessarie. Quello potrebbe rendere più fragile il governo?
«Ma sì, ma anche se fosse riguarderebbe soprattutto la data delle elezioni. Il referendum sul maggioritario, invece, è strategico, riguarda la possibilità per gli italiani di avere un governo stabile che governa per 5 anni anziché le liste bloccate, il ceto politico teleguidato dai partiti e i governi che si fanno e disfano».
Il governo gialloverde lo avete disfatto voi, però...
«Che cosa rimarrà del 2019 nei ricordi degli italiani? Un governo che governa e difende i confini. Un ministro che ha vinto una battaglia che si diceva non si potesse vincere e non si dovesse combattere. L’interruzione rispetto a un modo semplice e diretto di fare politica, contrapposto a quello dei giochi e dei giochetti: quando non si possono fare cose positive, meglio interrompere. Si governa per governare non per galleggiare. In Italia, però, con questo approccio si viene derisi».
Ma il suo pronostico quale è? Il governo Conte andrà avanti?
«In Italia c’è il concetto dei responsabili: il tempo che manca alla fine di una legislatura è inversamente proporzionale al consenso del governo. Detto questo, lo stato di salute del governo è lì da vedere: su un fisico compromesso, anche un raffreddore può essere fatale».
Come mai nel centrodestra, a dispetto del buon momento, il calore tra gli alleati è così basso?
«Perché non abbiamo un metodo di lavoro consolidato. Probabilmente, perché i rapporti di forza sono rapidamente mutati. Ma è chiaro che occorra trovare un metodo diverso da quello fin qui utilizzato».
I rapporti cambiano di continuo. Per esempio, in questo momento Giorgia Meloni ha una notevole spinta propulsiva. È per questo che il vostro rapporto con lei è così freddo?
«L’elettorato non è più nella camere stagne dei partiti come un tempo e noi restiamo saldamente sopra il 30%. Giorgia Meloni ha una politica molto aggressiva, anche nei confronti di Forza Italia verso cui noi abbiamo sempre mantenuto il rispetto. Ognuno fa politica con i mezzi che ha...».
A che cosa è servito il congresso di un partito leaderistico come la Lega?
«Dovevamo aggiornarci. Con le regole di 40 anni fa non si poteva proseguire: allora c’erano Usa e Urss, oggi Usa e Cina, l’economia si è fatta immateriale, l’europa faceva poche cose e bene mentre oggi ne fa tante e male».
Bossi è stato lasciato un po’ da solo. O no?
«Bossi è un vecchio leone che nonostante i problemi fisici la battaglia la conduce fino in fondo. Ma lui lo sa: quando ha iniziato era solo e non ha mai avuto paura di nulla. Figuriamoci adesso».