Soldi e processi, povere tombe puniche
La necropoli sarda, il cemento, i risarcimenti (e la politica): deciderà la Cassazione
Inonni fenici dei cagliaritani, sepolti nelle loro grotte nel ventre del colle di Tuvixeddu, tacciono. Sopra le loro teste, però, sta per riaprirsi la rissa politica e giudiziaria che da un quarto di secolo agita ormai il capoluogo sardo: quale sarà il giudizio finale nello scontro sulla cementificazione edilizia dell’antichissimo sepolcreto, la più grande e la più importante necropoli punica del Mediterraneo?
Cosa dirà la Cassazione: darà ragione ai palazzinari bloccati dai vincoli paesaggistici quando già avevano in tasca un accordo di programma con il Comune o alla Regione che era intervenuta infine per fermare con un vincolo la cementificazione?
Non si tratta solo di una (nobile) questione di principio sulla tutela del paesaggio. Su quella sono già da tempo intervenute un po’ tutte le associazioni ambientaliste e culturali, dal Fai a Italia Nostra, da Amici della terra ad Archistoria, dai Verdi a Ipogeo e su tutti il Gruppo di intervento giuridico di Stefano Deliperi che da anni martella sul tema. In ballo, infatti, c’è una questione di soldi. Tanti soldi. Una manciata di settimane, infatti, e la Cassazione dovrà decidere se confermare o meno la sentenza della Corte d’appello di Roma che due anni fa ribaltò lo strabiliante Arbitrato che aveva riconosciuto ai costruttori un mostruoso risarcimento per il mancato guadagno. Dovesse farlo, questi non avrebbero scampo: sarebbero obbligati finalmente a ridare quel malloppo che la Regione fu costretta a dar loro.
Ma è meglio ripartire dall’inizio. Cioè dal lontano 1995, quando i difensori della necropoli, già degradata dallo scorrere di circa due millenni e mezzo dall’era dei Fenici in Sardegna, tra il VI ed il III secolo a.c., ma più ancora devastata dallo scriteriato sfruttamento del «colle dei piccoli fori» (questo vuol dire, Tuvixeddu) usato fino agli anni ‘70 come cava dall’italcementi, si opposero «al progetto di cementificazione dell’area, oggi solo in parte vincolata nonostante le testimonianze archeologiche che contiene». E chiesero espressamente all’amministrazione comunale che il colle fosse «classificato zona inedificabile nel Nuovo Piano urbanistico comunale».
Macché. A dispetto del buon senso e di ogni pubblico appello, passò nel 2000 la linea contraria. La quale prevedeva, col contrappeso di una modesta area archeologica e di un museo, l’edificazione un grande complesso edilizio per un totale di quattrocento «unità abitative». Scelta contestatissima. Finché, qualche anno dopo, grazie anche alle denunce su quelle tombe trasformate in depositi di immondizia, il governatore sardo Renato Soru bloccò i lavori in corso: la precedenza andava data agli interessi pubblici.
Una decisione coraggiosa e temeraria. Nonostante varie sentenze abbiano accolto questo principio, non son mancati negli anni numerosi verdetti che, dovendo scegliere tra gli interessi di tutti e quelli di un privato ma fissati nero su bianco da un patto precedente, fosse pure un patto sbagliato firmato in un momento sbagliato e voluto da un sindaco sbagliato, hanno optato per gli interessi privati. Tanto più in casi come quello di Tuvixeddu dove, essendo in ballo da una parte gli interessi di un ente pubblico (lo Stato, una regione, un comune…) e dall’altra un’azienda privata, quest’ultima aveva la possibilità di evitare il confronto in tribunale ricorrendo a un giudizio con tre arbitri, uno nominato dall’ente pubblico, uno dal privato e il terzo scelto dall’uno e dall’altro. Una «scorciatoia» oggi meno facile da percorrere ma qualche anno fa diffusissima. Anche grazie alle percentuali talora stratosferiche riconosciute ai tre arbitri. Ma soprattutto a un andazzo che vedeva i privati vincere nel 97 per cento dei casi.
Proprio Tuvixeddu, del resto, dice tutto: a decidere furono due arbitri su tre (il presidente emerito della Corte Costituzionale Franco Bilé e il docente universitario Nicolò Lipari) contro il parere diverso del terzo arbitro, il giudice in pensione Giovanni Olla, che pretese che nella sentenza fosse precisato il suo dissenso radicale. Soprattutto sull’ammontare del risarcimento da riconoscere ai costruttori, la società Nuove iniziative Coimpresa di Gualtiero Cualbu. Una cifra mostruosa: 76 milioni di euro, quasi 200mila per ogni alloggio non edificato. Una somma immensamente più alta di quella calcolata da Olla: 3.650.000 euro.
Polemiche su polemiche. Di qua il giudizio pesantissimo del nuovo governatore di destra, Ugo Cappellacci, che costretto tira fuori i soldi: «Le conseguenze di una guerra ideologica portata avanti dalla giunta di Renato Soru rischiano ora di pesare sulla collettività». Di là la replica del predecessore: «Il Tribunale di Cagliari e il Consiglio di Stato hanno già stabilito la legittimità dei comportamenti dell’amministrazione regionale nella passata legislatura di centrosinistra, e certamente i Tribunali ordinari annulleranno la decisione del Collegio arbitrale».
La Corte d’appello di Roma, nella primavera 2018, gli darà ragione. Sia sul dirittodovere che aveva di correggere l’accordo di programma per il complesso residenziale in un’area archeologica come Tuvixeddu. Sia sulla sproporzione del risarcimento. Ridotto a un terzo della stessa stima dell’arbitro Olla: un milione e 200mila euro. Ora, dicevamo, tocca alla Cassazione.
E se i giudici supremi dovessero decidere infine di confermare la sentenza dell’appello e condannare i costruttori a restituire quella cifra enorme, cresciuta negli anni con l’inflazione fino a 83 milioni? Quei soldi sono stati accantonati in attesa del verdetto definitivo? Man mano che si avvicina il momento della decisione, crescono in Sardegna dubbi e apprensioni. Massimo Zedda, l’ex sindaco di Cagliari che affrontò Christian Solinas alle ultime Regionali, attacca: «Cosa ha fatto, in questi mesi, per recuperare coattivamente l’ingentissimo credito di oltre 83 milioni di euro di risorse pubbliche»? E chiede in un’interpellanza se quei soldi non ancora restituiti ci siano ancora o siano «transitati in altre società dello stesso gruppo privato» e perché la Regione sardo-leghista abbia «pagato un ulteriore importo di 556.883 euro con un debito fuori bilancio per un secondo arbitrato, proposto dal gruppo privato per paralizzare gli effetti restitutori» del denaro. Il governatore per ora (c’era di mezzo il Natale) non ha ancora risposto. Ma potete scommettere, con l’aria che tira anche sul ripristino delle otto province e delle otto Asl, che delle tombe puniche sentiremo parlare ancora…