Gli scandali non fermano la sua base. Ma al voto di marzo si rischia un altro stallo Netanyahu ancora senza rivali Plebiscito alle primarie Likud
I likudnik sono rimasti fedeli, fino al culto della personalità, al capo. Benjamin Netanyahu è il loro leader da quindici anni e non hanno intenzione di spodestare il monarca incontrastato. Che nel 2007 ha raccolto il 73 per cento dei voti alle primarie interne, nel 2012 il 77, nel 2014 l’85, tre anni fa ha corso da solo senza avversari e ieri ha raggiunto il 72,5. È riuscito a sconfiggere la tempesta impersonata da Gideon Sa’ar (è il significato in ebraico del cognome) e quella reale che ha imperversato su Israele: il vento e la pioggia non hanno impedito a 41792 suoi sostenitori di uscire di casa per infilare il suo nome nell’urna.
A disertare non li hanno spinti neppure l’incriminazione per corruzione e il rischio legale che Netanyahu in attesa di processo non possa ricevere l’incarico per formare una coalizione di governo, dovesse vincere le prossime elezioni del 2 marzo, le terze in meno di un anno. Ripetono quello che il premier in carica ha ripetuto in tutti questi mesi e anche ieri dopo la vittoria nel partito: le accuse sono
Vittoria Benjamin Netanyahu ha vinto le primarie Likud per la prima volta nel 2007, ieri è stato confermato per la quarta volta con il 72,5% «fake news», i media e alcuni politici congiurano con giornali e tv per mandarlo a casa.
Sa’ar sperava di poter superare la soglia del 30 per cento, un numero simbolico per dimostrare che dentro al Likud sta crescendo la voglia di rinnovamento, di sostituire l’uomo che ha garantito alla destra di rimanere al potere senza interruzioni dal 2009. Da deeejay dilettante nei club di Tel Aviv ha imparato a mixare le posizioni progressiste (sì alle coppie gay) con l’ideologia nazionalista (no a un accordo con i palestinesi), la dolce vita libertaria della città sul Mediterraneo con il rispetto delle regole religiose di Gerusalemme.
Più giovane di Netanyahu (53 anni contro 70) non rappresenta un cambiamento di linea, solo di stile. Un cambiamento che sarebbe stato sufficiente a districare Israele dallo stallo politico. I sondaggi per ora non indicano grandi variazioni nei risultati del 2 marzo: l’ex capo di Stato Maggiore Benny Gantz sembra guadagnare qualche seggio, non abbastanza per riuscire a mettere insieme la maggioranza. Gantz si è rifiutato – lo ha promesso nelle campagne elettorali una dietro l’altra – di accettare un’intesa di unità nazionale con Netanyahu. Ha dichiarato però di essere pronto allo stesso patto con chiunque altro guidi il Likud.
Il calendario elettorale si intreccia a quello giudiziario. Bibi – come lo chiamano amici e nemici – entro la fine dell’anno deve rinunciare ai quattro ruoli da ministro che detiene oltre a quello di premier: la legge israeliana impone ai ministri incriminati di dimettersi, non al capo del governo. All’inizio del 2020 potrebbe chiedere ai deputati di votare la sua immunità, anche se in pubblico lo ha sempre escluso. Senza la protezione parlamentare è probabile che si ritrovi in tribunale durante la campagna elettorale e il voto del 2 marzo diventerà ancora una volta un referendum sul leader che è stato più a lungo al potere nella Storia del Paese.