«Sono sceso per primo Eravamo a 250 metri dall’impatto»
«Sono stato il primo a scendere dalla macchina di Pietro. Mi sono avvicinato alla ragazza che ho trovato subito a terra nel luogo dell’incidente e ho sentito che non respirava più. È stato terrificante. Poi ho alzato lo sguardo e ho visto più avanti il corpo dell’altra giovane. Eravamo tutti sotto choc, ma è vero che sono sbucate all’improvviso. Evitarle era impossibile». Davide Acampora, studente ventenne, era seduto davanti sul suv Renault guidato da Pietro Genovese la notte del 21 dicembre a corso Francia. Dalla sua posizione potrebbe aver visto tutto: l’avvicinamento all’incrocio con via Flaminia, l’utilitaria accanto alla loro auto che si è fermata di colpo sul lato destro della carreggiata, le sedicenni che spuntavano e che venivano travolte dall’amico al volante. Che, come ha sottolineato il gip Bernadette Nicotra nella misura cautelare emessa nei confronti del figlio del regista Paolo Genovese, si è fermato «poco dopo, circa 250 metri più avanti rispetto al luogo dell’impatto e precisamente sopra la rampa d’accesso a via del Foro Italico». Interrogato dai vigili urbani, Acampora ha riferito alcuni particolari di quella serata. «Eravamo andati a una festa con alcuni amici, poi ci siamo rimessi in marcia per tornare a casa. Non avevamo assunto droghe di alcun genere. Avevamo invece bevuto qualcosa, ma Pietro non era certo ubriaco. Dopo l’incidente era sconvolto». Sui sedili posteriori del Koleos condotto da Genovese — che secondo i vigili urbani con la sua patente B poteva guidare quel genere di veicolo — c’era un altro amico, Tommaso Edoardo Luswergh Fornari, anche lui di 20 anni. Come Acampora, è stato interrogato dai vigili urbani e ha fornito la sua versione. Avrebbe visto meno del coetaneo che sedeva davanti a lui. Da allora è chiuso nella sua abitazione vicino piazza Fiume, al Salario, a poche centinaia di metri dalla casa di Acampora e della famiglia dello stesso Genovese, nel suggestivo rione Coppedé, mentre Paolo si trova ai domiciliari nella sua abitazione in via Frattina, in centro. «Adesso non ho voglia di parlare», dice Tommaso senza aprire la porta dell’appartamento al pianterreno. Nell’androne dell’elegante palazzo il portiere accompagna all’uscita i cronisti. Lui e Davide sono stati sentiti come persone informate sui fatti insieme con altri cinque testimoni che da varie angolazioni hanno assistito all’incidente costato la vita a Gaia e Camilla. Ma sarebbero stati loro a scuotere Genovese che dopo l’impatto ancora stringeva il volante del suv e aveva percorso alcune centinaia di metri, imboccando la strada sopraelevata rispetto al punto dell’investimento. «Gli abbiamo detto di fermarsi e tornare indietro», avrebbero riferito i due amici del 20enne, che come prima cosa ha telefonato al padre chiedendo aiuto. A quel punto però la macchina si era bloccata per un guasto e così lui e gli amici sono scesi sulla rampa per raggiungere corso Francia a piedi.