ARMAMENTI NUCLEARI, SE PUTIN ORA VUOLE CERCARE LA «VITTORIA»
La corsa agli armamenti «non è una partita a scacchi nella quale a volte può anche convenire un pareggio». Le ultime dichiarazioni di Vladimir Putin, rilasciate dopo aver elencato le strabilianti nuove armi nucleari russe capaci di colpire il nemico in qualsiasi parte del mondo, suscitano una certa inquietudine.
È infatti proprio sulla parità, sulla assoluta certezza che qualsiasi «partita» tra superpotenze si sarebbe conclusa comunque con la distruzione reciproca, che si è basata la convivenza tra i due grandi del mondo. All’epoca della guerra fredda, l’acronimo che indicava questa situazione era Mad (in inglese vuol dire pazzo), che stava per Distruzione reciproca assicurata, Mutual assured destruction. Nessuno cioè poteva pensare di colpire il nemico e uscirne vincitore. Ma ora il leader del Cremlino, pur assicurando che le iniziative dei suoi generali sono solo volte a contrastare le azioni americane, parla anche di ricerca della «vittoria». È ovvio che i nuovi missili russi, che sembra possano viaggiare nell’atmosfera a 20 volte la velocità del suono, daranno al suo Paese un vantaggio, fino a quando gli Usa non si doteranno di armi simili. Ma è seriamente ipotizzabile l’uso di questi ordigni, sia pure di fronte a una eventuale aggressione nemica? Il disastro di Chernobyl del 1986 ci ha insegnato che la radioattività causata da un’esplosione viaggia verso direzioni imprevedibili. Così, anche nell’ipotesi che la Russia riuscisse mai a distruggere completamente l’armamento degli avversari e a radere al suolo le loro (nostre) città, poi il fall out colpirebbe comunque tutto il globo. E inoltre sappiamo bene che in caso di attacco Usa e alleati risponderebbero immediatamente. E anche se i missili nei sili terrestri venissero neutralizzati, rimarrebbero quelli su sommergibili e aerei. Il risultato sarebbe, come si è sempre saputo, la distruzione globale. Allora è chiaro che il pareggio tra le superpotenze è il migliore risultato possibile, come è avvenuto negli ultimi settant’anni.
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