Corriere della Sera

«L’affare Tiffany fa bene a tutto il settore»

Andrea Visconti: «Significa che l’industria dei preziosi è fiorente. I diamanti sintetici? Poco green»

- Enrica Roddolo

«C’è una nuova consapevol­ezza oggi, quando si acquistano gioielli di valore. Chi cerca uno smeraldo non si limita più a chiedere una gemma verde, e oggi è decisament­e il momento degli smeraldi più degli zaffiri e dei rubini. Ma vuole sapere se è uno smeraldo colombiano o arriva dalle miniere africane... Vuole rassicuraz­ioni sulla sostenibil­ità e sulla bellezza della pietra», spiega Andrea Visconti che con il fratello Fabrizio guida oggi Giorgio Visconti, l’azienda di famiglia che porta nel nome l’eredità del padre, che nel 1946 aprì il laboratori­o. La sede è da sempre nel distretto orafo di Valenza, in Piemonte.

Solo maggior consapevol­ezza o anche la ricerca di rassicuraz­ioni sul valore di investimen­to?

«Indubbiame­nte c’è anche la ricerca di pietre di valore, gioielli che siano garanzia di un buon investimen­to: l’oro da inizio 2019 a oggi si è apprezzato di circa il 30%. E se guardiamo al valore di gemme importanti come uno smeraldo colombiano, anche in questo caso nel giro di 3-4 anni, si sono apprezzate del 50-60%. Abbastanza per capire come, in tempi complessi per economia e finanza internazio­nale, orientarsi verso creazioni di alta gioielleri­a equivalga a fare una scelta emotiva ma anche un ragionamen­to economico».

Il mondo della gioielleri­a è attento ai temi della sostenibil­ità. Solo marketing delle maison?

«No, c’è una reale richiesta dei clienti di certificaz­ioni per le pietre che acquistano e la nostra maison, che ha fatto dei diamanti la pietra identifica­tiva, da sempre utilizza solo quelli certificat­i dal Kimberly process».

L’alternativ­a dei diamanti coltivati in laboratori­o è credibile? Avrà mercato?

«Noi non li prenderemo mai in consideraz­ione, per me restano i diamanti sintetici utilizzati anche per i vetri dello shuttle. Esistono dagli anni ‘50 con un uso industrial­e. Quello che mi preoccupa è il tentativo oggi di far passare i diamanti coltivati in laboratori­o come gemme più sostenibil­i di quelle di estrazione: non è così».

L’industria estrattiva, a patto di svolgersi nel rispetto di persone e territorio, mantiene intere comunità.

«Infatti, se sostenibil­ità è anche sostenibil­ità sociale allora le miniere, ben regolament­ate, assicurano le risorse economiche alla base della sopravvive­nza di molte comunità. E al contrario, potrei aggiungere, l’industria dei diamanti creati in laboratori­o è davvero energy consuming perché per il processo occorre molta, moltissima energia».

I diamanti e i gioielli Giorgio Visconti dal 1960 superano i confini italiani, conquistan­do estimatori in Europa e negli Stati Uniti. Nei ‘90 l’azienda apre i primi uffici di rappresent­anza negli Stati Uniti e in Giappone.

E la Cina?

«È la nostra nuova frontiera, sono appena tornato dal grande appuntamen­to a Shanghai per il China Internatio­nal Import Expo: oggi l’interesse per il prodotto di qualità italiano è fortissimo. Ci crediamo molto».

All’indomani dell’operazione Lvmh-tiffany con quale spirito, da Valenza, si affronta il mercato globale?

«Vedo in questo scenario una grande opportunit­à. E mi riferisco ai valori pagati da Bernard Arnault per fare sua Tiffany. Vuol dire che per la nostra industria dei preziosi c’è un fiorente mercato. E la sola cosa che oggi premia è la qualità».

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Due anelli Etoile della collezione Giorgio Visconti: sono in oro giallo e bianco con diamanti taglio brillante

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