Plastica & C.: i ragazzi del fiordo che progettano il futuro del design
Nello studio di Snøhetta un italo-scandinavo guida il nuovo centro ricerca della sostenibilità
Fermo immagine di una pausa durante una giornata di lavoro. Sembra quasi impossibile che quel gruppo di giovani dall’aria rilassata, con tanto di bambina con gelato a osservarli, appartengano a uno degli studi più innovativi al mondo. Snøhetta, 120 architetti che, in un ex deposito con vista sul fiordo di Oslo, disegnano il nostro domani. E non è una frase fatta, perché, al di là dei progetti in corso che li vedono protagonisti nell’ambito dell’architettura pubblica e privata, paesaggi e interni, la novità è il lancio del loro dipartimento di ricerca: focus, i materiali innovativi. Quelli che, a prescindere dal ragionamento sulle forme, ci apriranno al futuro del design.
Qual è oggi il senso contemporaneo di un progetto? Come si può innestare la riflessione sulle architetture sostenibili (di cui Snøhetta è tra i paladini) nel design, inteso come oggetti d’uso rispettosi del pianeta? La chiave, o perlomeno una delle chiavi, è il ripensamento sui materiali: nuovi, ma anche riciclati dagli scarti industriali; oppure, al contrario, recuperati direttamente dalla natura. «L’inizio vero è stata la mia curiosità nei confronti della plastica. In particolare quella derivata dai resti di reti da pesca provenienti da aziende ittiche norvegesi. L’idea è stata però impostare una ricerca reale, finalizzata non a un documento ma alla creazione di un oggetto vero», rievoca Stian Alessandro Ekkernes Rossi, architetto, che assieme al collega Kristian Edwards è oggi a capo del nuovo dipartimento di ricerca di Snøhetta: apertura ufficiale, gennaio 2020.
«Dall’inizio pionieristico, senza un obiettivo preciso né una commessa, dopo circa un anno siamo riusciti ad avere un finanziamento dallo stato, e nel frattempo il tema della salvaguardia degli oceani è esploso in tutto il globo», ci racconta, con aplomb nordico da cui però traspare l’orgoglio (italiano) di questo avvio visionario. «In parallelo, mentre quel progetto si concretizzava nella sedia S-1500, è cresciuto il coinvolgimento dello studio e molti colleghi sono entrati a collaborare nella varie fasi del lavoro». Qui sta il punto, e basta guardare lo studio – un ambiente luminoso e colorato, con file di scrivanie accostate senza alcun filtro - per capirlo. Perché da Snøhetta il lavoro è partecipativo e tale sarà anche nel centro di ricerca. Non a caso, precisa Stian, non è previsto un luogo fisico dedicato (eccetto un angolo laboratorio): «Il senso è che rimanga un’attività trasversale: chiunque desideri approfondire una tematica, potrà farlo. E noi alimenteremo questa curiosità».
Prerogativa, la fluidità: «Siamo aperti alle collaborazioni: università, professionisti, altri studi di architettura. Perché credo che sarà sempre più fondamentale lo scambio e la circolazione delle idee. Nel poco tempo a disposizione non possiamo permetterci di essere gelosi delle nostre conoscenze». Infatti i risultati, se non finalizzati a una commessa, saranno aperti alla condivisione. Anche a beneficio delle industrie. «Certo, l’obiettivo è lavorare in modo diretto con chi ha consapevolezza di voler evolvere, spingendo sul prodotto», sottolinea Stian. Qualcuno lo sta già facendo: «Siamo ai test finali di una lampada da ufficio a led che sfrutta gli scarti da agricoltura e li trasforma in risorsa, realizzata assieme a un brand scandinavo. Abbiamo lavorato sul concetto della dispersione del calore usando un materiale naturale, che potrebbe diventare alternativo all’alluminio».
Impossibile saperne di più («Perché nella sperimentazione tutto può cambiare anche all’ultimo», ribadisce), invece Stian ci anticipa che ci sono già due contatti caldi con produttori italiani. E ci rivela la ricerca inaugurale del dipartimento: «Sarà sull’argilla. Da qui vorremmo nascesse il “mattone del futuro”». Nel laboratorio è già tutto pronto: il piatto rotante da ceramista, un forno, attrezzi vari. Perché la comprensione del materiale deve partire sempre dall’approccio manuale. «Non saremo mai dei professori in camice bianco che stanno seduti
a una scrivania», dice sorridendo, «Anche per questo commissionare una ricerca sarà accessibile». L’entusiasmo è tanto: «L’importante è non aver paura del fallimento. Devi accettare che possa succedere e fare sì che diventi un passaggio per riprovare. Solo così puoi arrivare a costruire un pensiero più grande di quello attuale», conclude, guardando fuori dalla grande vetrata che rischiara lo studio: «Non vedo l’ora».
Ekkernes Rossi
Condivideremo le nostre ricerche: la situazione del pianeta non ci permette di essere gelosi