Corriere della Sera

Cinquanta voci per settanta di queste Bur

- Di Cristina Taglietti

«Siamo tutti un poco figli della Bur, della “vecchia” come della “nuova”, sia come lettori sia come editori». Inizia con questa premessa il libro curato da Evaldo Violi che della Biblioteca Universale Rizzoli è stato per quasi trent’anni il direttore editoriale. Intitolato Io e la Bur (New Press Edizioni, pagine 182, € 12) è un piccolo volume che raccoglie 50 contributi di chi in questi settant’anni di vita (i primi libri uscirono nel maggio 1949) con lo storico marchio di tascabili ha avuto in qualche modo a che fare.

I promessi sposi di Alessandro Manzoni in sei volumi , Teresa Raquin di Émile Zola, La sonata a Kreutzer di Lev Tolstoj, Otello di William Shakespear­e furono i primi titoli: 50 lire per ogni cento pagine, testi fuori diritti, grandi classici curati — ricorda Violo nell’introduzio­ne — da eccellenti professori di liceo. Partita come una grande operazione culturale che poi sarebbe diventata anche un grande affare, la Bur subì dagli anni Sessanta un declino fino a quando nel 1973 a Violo, chiamato da Mario Spagnol che allora dirigeva Rizzoli, venne chiesto di rilanciarl­a portando nella collana la grande narrativa italiana e straniera e la saggistica del catalogo maggiore.

Autori, addetti ai lavori, storici, giornalist­i, lettori raccontano in forma breve, talora brevissima, la «loro» Bur. «Nella mia casa contadina, priva di pavimento, tenevo in un angoletto i miei libri e mi sentivo ricco», scrive per esempio Ferdinando Camon, mentre Luca Doninelli rivela che la parola «romanzo» per lui iniziò ad acquistare un senso più preciso proprio con questa collana. Giancarlo Ferretti, critico e studioso dell’editoria, ripercorre la sua biblioteca alla ricerca di quei volumetti grigi, annotati sui frontespiz­i, che iniziò a comprare nella primavera del 1949, in concomitan­za con un aumento di stipendio del padre; Dacia Maraini ricorda quando, studentess­a, facilitata dalla maneggevol­ezza dei tascabili, se li portava in classe di nascosto e li leggeva sotto il banco.

Insomma una serie di ricordi che diventano al tempo stesso omaggi. Come l’extra (un articolo del 1989) di Giorgio Manganelli, sull’attesa dell’uscita dei quattro volumi previsti ogni mese. «Non volevo saperne in anticipo i titoli; mi piaceva stupirmi, eccitarmi, anche deludermi, perché specie all’inizio, non erano frequenti i titoli singolari». Quelli erano i vecchi Bur, la cui qualità, dice Manganelli, era «clamorosa, nobilmente provincial­e, come ricevere in casa una folla di parenti notai che lavorano in Abruzzo, in Romagna, in Irpinia; ma le nuove universali vestono da buoni sarti, parlano le lingue e vanno in macchina, con il passaporto sempre pronto».

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Alcuni volumi Bur: la collana venne lanciata nel 1949
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