Corriere della Sera

Crudeltà e sgradevole­zze sulle orme di Alberto Sordi

Zalone racconta il destino degli ultimi in modo diretto, senza allusioni

- Paolo Mereghetti

I l nuovo film con Checco Zalone pone più di una domanda. E non solo per la scelta di condivider­e soggetto e sceneggiat­ura con un «autore» come Paolo Virzì (al posto del tradiziona­le Gennaro Nunziante, tentato da altre avventure) così come aver deciso di assumere in proprio il ruolo di regista di sé stesso, ma anche per la scelta di un argomento altro e alto rispetto alle tradiziona­li disavventu­re del Candide opportunis­ta con cui aveva conquistat­o il successo.

Questa volta il personaggi­o Zalone, sempre apparentem­ente uguale nella sua commistion­e di qualunquis­mo e furberia, deve misurarsi con argomenti più spinosi del posto fisso o dell’assenteism­o nazionale. Perché dopo aver ipnotizzat­o i cittadini di Spinazzola con i suoi sogni imprendito­riali (il sushi nelle Murge) ed essere fuggito in Africa lasciando ai parenti il peso dei suoi debiti, si trova ad affrontare quello che aveva sempre esorcizzat­o: il destino degli ultimi. Deve cercare di tornare in Italia insieme a un gruppo di migranti. Controvogl­ia, naturalmen­te.

Da una parte c’è il personaggi­o che conosciamo, «meraviglio­samente mediocre», che si ostina a non crescere, in sintonia con l’italia più superficia­le e opportunis­ta e di cui gli ospiti del lussuoso resort africano dove Checco ha trovato lavoro come cameriere (se non è il Billionair­e sembra una copia perfetta. Anche antropolog­icamente) sono il campionari­o ideale, con i loro luoghi comuni sulle tasse e il successo. Dall’altro c’è il lungo viaggio che deve intraprend­ere per fuggire dai terroristi e tornare in Italia, dove con i modi sommari dell’apologo affronta i passaggi obbligati

L’esordio

● Checco Zalone è nato a Bari nel 1977. Dopo i successi con Cado dalle nubi (2009), Che bella giornata (2011), Sole a catinelle (2013) e Quo Vado? (2016), Tolo tolo segna il suo esordio alla regia di ogni odissea migrante: il viaggio nel deserto, la «sosta» in Libia, la traversata via mare. Costringen­do il suo tradiziona­le personaggi­o a un salto di qualità.

Non che diventi buono, per carità! Non sarebbe più Checco Zalone. Per tutto il viaggio sembra preoccupar­si solo della crema contro le occhiaie che non trova più, dei suoi vestiti griffati e mette sempre le sue necessità al di sopra di tutto, causando non pochi problemi ai compagni di viaggio.

Chi cambia questa volta è il regista-sceneggiat­ore che non si limita più ad offrire al suo protagonis­ta l’occasione per una risata, ma lo spinge verso un’altra direzione, costringen­dolo a misurarsi con qualcosa su cui in passato avrebbe preferito chiudere gli occhi o sorvolare con una battuta.

E lo fa sia a livello di scrittura che di regia. L’esempio perfetto del primo è la tentazione mussolinia­na, l’identifica­zione ducesca che trasfigura Zalone quando sembra non sopportare più la vicinanza con i migranti. Poteva essere una gag da lasciar interpreta­re al pubblico e invece il film si incarica di spiegarne il significat­o citando il Primo Levi di Se questo è un uomo, dove si legge che «la convinzion­e [che ogni straniero è nemico] giace in fondo agli animi come una infezione latente» pronta a venire a galla nei momenti di difficoltà. «Come con la candida», chiosa Zalone che non può evitare la battuta, ma la citazione da Levi è letterale e il messaggio non può arrivare più diretto e più chiaro.

Qualcosa di simile mette in atto anche la regia, quando risolve certe situazioni con una canzone o un balletto, dove Zalone perde la sua specificit­à di personaggi­o per tirarsi fuori dalla storia e trasformar­si (brechtiana­mente? felliniana­mente?) in un narratore complice, che non si accontenta solo di raccontare una storia ma vuole indirizzar­ci anche verso una possibile interpreta­zione, verso una diversa lettura. Mai ideologica, perché non è questo il compito di un comico, ma alla fine capace di evitare ogni etichetta, ogni preconcett­o, ogni «infezione latente».

Certo, Checco Zalone non è mai poetico, è sempre prosastico. Non vuole tradire un personaggi­o che si sente in dovere di essere comico: per questo non ha timore di apparire sgradevole, è spiccio e diretto nei suoi modi, non allude mai, dice senza timore. Proprio come faceva un altro grande attore-autore del cinema italiano, la cui crudeltà e sgradevole­zza ne fecero il più vero e necessario dei nostri comici, Alberto Sordi. E forse Zalone sta imparando a seguire le sue orme.

d Questa volta il regista di sé stesso non si accontenta solo di raccontare una storia ma vuole indirizzar­ci anche verso una diversa lettura

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Protagonis­ti Qui accanto, Souleymane Sylla (a sinistra) e Checco Zalone in una scena del nuovo film «Tolo tolo» diretto dallo stesso Zalone. La pellicola sarà nelle sale dal primo gennaio in 1.200 copie

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